Si parla da tempo della difficoltà delle mamme di conciliare lavoro e vita privata.
Se per i paesi nordeuropei la maternità non costituisce più un problema, ma al contrario viene visto come una risorsa a cui porgere assistenza, in Italia si registra la tendenza opposta.
Una donna che fa figli costruisce un cattivo investimento per il datore di lavoro, oltre a rappresentare un ostacolo per la propria realizzazione personale e professionale. Il lavoro infatti, se la donna è fortunata da averne uno, mal si concilia con la vita di famiglia. Gli orari sono scomodi, lo stipendio esiguo e i nidi a pagamenti rari e costosi. Qual è la conseguenza? Le neomamme sono costrette ad abbandonare il lavoro. Così nel nostro paese nascono pochi bambini e sempre più tardi.
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Secondo i dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro, le dimissioni con figli minori di 3 anni sono state 37.738.
Le donne che si sono licenziate volontariamente sono state 29.879, 24618 delle quali con la specifica causa della mal conciliazione tra maternità e lavoro, mentre le restanti 5.261 hanno cambiato ruolo.
Una esempio su tutti in Italia è dato dalla regione Lombardia, dove nel numero di donne che si sono licenziate, la metà è stato proprio per cause legate all’arrivo di un pargolo: non accoglimento all’asilo nido, mancanza di parenti di riferimento e una non adeguata cifra assistenziale tra costi di mantenimento del bimbo e quella percepita come guadagno.
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Insomma, se anche la regione più ricca ed economicamente sviluppata d’Italia registra questi dati, l’Italia non è certo un paese per mamme.
Il problema più grande risulta poi cercare nuovamente lavoro una volta fuori dal giro delle assunzioni causa, appunto, maternità.