Il coronavirus ha messo in ginocchio il trasporto pubblico non di linea nelle grandi città italiane. Tassisti e NCC senza turismo in Italia non hanno più clienti dei ristoranti, uomini d’affari e ospiti degli alberghi, perdendo così la materia prima del proprio lavoro. Un calo significativo che sfora meno l’80% dei servizi, e tante delle 8mila auto bianche della Capitale totalmente inattive. Alla luce di questa emergenza, stamattina i tassisti si sono riuniti sotto alla Regione Lazio (manifestazione non autorizzata) per denunciare lo stato di salute del settore: “Siamo alla fame”. I soldi elargiti dall’Inps, due contributi da 600 euro per le partite Iva, e gli 800 euro dalla Regione Lazio sono già bruciati. E loro adesso ne chiedono altri.
“Roma è morta – ha detto Nicola Di Giacobbe, Unica Taxi Cgil – non ci sono spettacoli, non ci sono congressi, non ci sono uomini d’affari in movimento, non ci sono fiere. Il Covid deve fare il suo percorso, è chiaro. Ma noi oggi ci troviamo con il 70% del potenziale di trasporto fermo. Ci sono 8.000 taxi. Un numero tarato su una capitale di 5 milioni di persone in movimento. Ma adesso a Roma ne basterebbero 1.500. Per lavorare noi tassisti aspettiamo la sera, dopo le 21, quando i mezzi pubblici non si trovano più”.
Anche Loreno Bittarelli, storico presidente della centrale taxi 3570, ha confermato una situazione economica grave per i tassisti della Capitale : “Il lavoro è pochissimo e i costi rimangono gli stessi. Abbiamo speso 200 euro a testa per il divisorio in plexiglass, abbiamo installato in sede 5 colonnine per la sanificazione della vettura, certificate dal ministero della Sanità, ma gli introiti sono più che dimezzati. Per questo chiediamo di usufruire del decreto legislativo 422 del 1997, che dà la possibilità ai taxi di svolgere servizi integrativi, per esempio per le scuole, gli anziani, o altre categorie di lavoratori e cittadini, alla stessa stregua del trasporto pubblico locale. Bisogna cercare altre modalità, considerando il contesto nel quale ci troviamo”.
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