Dall’asfalto al mare… di licenziamenti
La crisi Tesla continua, i dati sono sotto gli occhi di tutti. Ormai non si può più negare, continua a farlo solo l’apparentemente invincibile creatura di Elon Musk. Nell’ultima settimana ha dato il benservito a qualcosa come 400-700 persone, tra ingegneri, venditori e operai. Ma non si parla di licenziamenti. O almeno, è l’azienda che si rifiuta di chiamarli così. Si tratta di misure legate alla scarsa performance lavorativa di alcuni dei suoi 33 mila dipendenti.
Secondo Musk l’azienda è in ottima salute e, lungi dal licenziare, ha persino il problema opposto: ben 2 mila posti di lavoro scoperti… deve assumere! Nei suoi piani è previsto l‘aumento della capacità produttiva pari a mezzo milione di auto entro l’anno prossimo. Qualcosa però continua a non quadrare.
Tesla tra ritardi, disagi e sopravvalutazione
La notizia dei licenziamenti per la crisi Tesla arriva in un momento delicato. Basta pensare alle consegne rallentate della nuova Model 3, appena 220 delle 1.500 previste, causate da problemi nell’assemblaggio dei pannelli esterni. Ma in fatto di puntualità, l’azienda non eccelle. I ritardi si erano verificati anche in passato con la Model X, allora dovuti alle porte ad “ala di falco”, e Tesla aveva persino trascinato in tribunale il suo fornitore. Di recente è stato richiamato indietro il 3% dei crossover elettrici per il controllo dei sedili; ad aprile lo erano state 53 mila unità X e S per il freno di stazionamento.
Le notizie hanno influito sulla capitalizzazione in borsa dell’azienda, che nel 2015 ha registrato un passivo di 885 milioni di dollari, sceso a 330 nel 2016. Musk sostiene che fatturato e cash flow siano aumentati, ma molti ritengono che la venture sia troppo sopravvalutata.
Bolla finanziaria o mito del futuro?
Più che della crisi Tesla, qualcuno guarda in alto e parla di bolla finanziaria. Sarebbe stata “gonfiata” dall’abile comunicazione di Musk, che rilancia continuamente il destino di tutti gli altri business, da SpaceX, per i viaggi su Marte, a Solar City fino a OpenAI, senza dimenticare il futuristico progetto di Hyperloop, il treno ad aria compressa da 1.200 km/h.
Il mito aleggia attorno al “Re Mida” americano. In soli 4 anni sembra aver moltiplicato i 28 mila dollari prestati dal padre in un’azienda di software venduta a 341 milioni, investendone 10 per X.com, in seguito diventata quella PayPal ceduta a eBay per 1,5 miliardi.
Prodigi del genere possono accadere solo nella Silicon Valley, dove l’incontro tra idee, tecnologia e denaro è in grado di originare gas nobili e, all’occorrenza, riportarli allo stato liquido.
Perché Musk è davanti a un bivio
Adesso però il tempo del mito e delle “comode” strategie è finito e la crisi Tesla deve fare i conti con la realtà. Musk ha sempre avuto la grande capacità di mediare tra l’interno e l’esterno della sua azienda, in un business estremamente difficile come quello automobilistico, ma ora è davanti a un bivio. Deve scegliere se abbandonare la logica della startup, da vendere nel giro di qualche anno a un valore infinitamente superiore all’iniziale, e fronteggiare i problemi di una vera azienda.
Così non soccomberà alla concorrenza sempre più agguerrita. Nel 2019 arriveranno sul mercato le nuove auto elettriche di Audi, Mercedes, Porsche, Bmw e Jaguar, tutte solide realtà imprenditoriali, che lavorano su grandi volumi ed economie di scala e di scopo.