Altre ombre sulla tragedia del ponte Morandi. Ora si parla di depistaggio. La notte del 14 agosto, mentre a Genova si scavava tra le macerie del crollo, ci fu un tentativo di depistaggio. Uno scambio di mail che potrebbe aver avuto come scopo quello di nascondere le vere cause del disastro. Il fatto è gravissimo e se fosse accertato le conseguenza (giustamente) sarebbero pesantissime. Si torna dunque a un mese fa quando il viadotto collassa uccidendo 43 persone. Poche ore dopo, mentre l’Italia è sconvolta dalla tragedia, dagli uffici di Autostrade parte una richiesta per avere copia della relazione già consegnata nel maggio 2016. È Chiara Munari, account manager di Cesi, a rispondere. Trasmette il report al geometra Enrico Valeri, responsabile del coordinamento della viabilità di Autostrade, e nella lettera di accompagnamento scrive tra l’altro: “La causa del crollo va piuttosto ricercata nel vizio progettuale originario”.
Una conclusione molto diversa da quella certificata dalla sua azienda e così la scorsa settimana la donna viene convocata in Procura e interrogata. Perché ha ritenuto di dover inserire quella frase specifica? Con chi ne aveva parlato all’interno di Autostrade? Qualcuno gliel’ha suggerito? Munari lo esclude. Sostiene di averlo fatto di propria iniziativa. Una tesi che i magistrati non ritengono credibile, anche alla luce dello scontro tra le due società proprio su questo punto.
La Guardia di Finanza ha eseguito nuove perquisizioni presso la Cesi, l’azienda di consulenze che nel 2016 aveva evidenziato “anomalie nel comportamento degli stralli” del viadotto e suggerito ad Autostrade di “procedere con un sistema di monitoraggio dinamico permanente”. Una raccomandazione che la concessionaria ritenne di non dover seguire, tanto che commissionò un nuovo studio al Politecnico di Milano dove gli investigatori guidati dal colonnello Ivan Bixio ieri hanno sequestrato documenti e materiale informatico.
La fase di raccolta dei documenti è tuttora in corso, potrebbero esserci nei prossimi giorni altri indagati. Nelle loro relazioni i finanzieri indicano tra le persone “che hanno avuto una responsabilità nella gestione del ponte” e dunque potrebbero aver interesse a partecipare all’incidente probatorio, con un loro consulente, il presidente di Autostrade Fabio Cerchiai, il presidente e l’amministratore delegato di Spea (la società che effettuava i monitoraggi) Paolo Costa e Antonio Galatà.
Dieci giorni fa, quando circola la notizia che è stata sequestrata negli uffici di Autostrade la mail di Munari, Cesi dirama un comunicato. E afferma: “Nei diversi rapporti originariamente consegnati al cliente, tra gennaio e maggio 2016 si è suggerito di aumentare la frequenza di alcune ispezioni e implementare un sistema di monitoraggio dinamico, ossia continuo, della struttura. Pertanto il testo della mail inviata nella notte tra il 14 e il 15 agosto, non rappresenta la posizione ufficiale dell’azienda e deve ritenersi espresso unicamente a titolo personale”. Una tesi che Autostrade contesta con un’altra nota ufficiale: “La mail ricevuta nella notte tra il 14 e il 15 agosto proveniva dall’account manager di Cesi ed è stata inviata per conoscenza al global director della stessa Cesi. Visto il rilievo dei soggetti coinvolti nella mail, nel pieno rispetto delle valutazioni che potrà svolgere la magistratura, non è possibile considerare tale mail come una corrispondenza di natura privata”.
Ieri i finanzieri hanno sequestrato il server di Cesi e stanno esaminando cellulari e computer di Munari per ricostruire i suoi contatti e lo scambio di comunicazioni con i manager di Autostrade. Senza escludere che questo possa portare, nei prossimi giorni, a una sua iscrizione nel registro degli indagati per false dichiarazioni ai pm o favoreggiamento.