Lei si chiama Vittoria Zanetti. Nata nel 1991, a 23 anni lavorava come cameriera nei ristoranti. Oggi invece è diventata la fondatrice e la executive director dell’azienda Poke House. Si tratta di un’impresa che opera nel campo della ristorazione che, in soli quattro anni, ha aperto 105 negozi in sette diversi Paesi del mondo, superando i 40 milioni di euro di fatturato nel 2021. L’idea di buttarsi nel business delle ricette hawaiane le è venuta insieme all’amico Matteo Pichi, altro giovane imprenditore che ha fondato Foodinho, una app di food delivery poi rilevato dalla più grande Glovo.
Ora Vittoria Zanetti si racconta in una intervista all’Huffington Post, non lesinando consigli alle giovani generazioni. “Quattro anni fa quasi nessuno in Italia conosceva il ‘poke’. – racconta l’imprenditrice – Ho fatto tanta pratica nei ristoranti, ho viaggiato, ho ‘rubato’ l’idea giusta all’estero e poi l’ho portata qui. La gavetta è fondamentale. Nessun risultato si ottiene per caso. Bisogna sporcarsi le mani. Questo mi sento di dire ai miei coetanei: sporcatevi le mani, provate a far tesoro degli insegnamenti che scovate anche nei lavori più umili e non smettete di sognare in grande. Noi abbiamo attratto dei finanziamenti anche perché eravamo giovani, perché abbiamo proposto una visione diversa delle cose”, questo il suo consiglio.
“Sono cresciuta a Mantova, in una piccola città che non mi ha dato molto. – ricorda Vittoria – Dopo il liceo, come tanti ragazzi della mia età, sono scappata a Milano per andare alla ricerca di qualcosa di più. Lì mi sono innamorata della ristorazione. Avevo sempre avuto la passione per il food, ma trovandomi in un luogo con un’offerta infinita di format gastronomici da provare, mi sono appassionata ancora di più a quel mondo. Mi interessava, in particolare, il lato del food business, ma non sapevo da dove cominciare”.
“Quindi sono partita dal basso: ho iniziato a lavorare nei ristoranti e nei bar. – afferma con orgoglio l’imprenditrice – Ho fatto la cameriera, la caposala, la barista. Non c’erano orari fissi, i miei superiori erano molto severi, si lavorava duramente. Sono state esperienze ‘toste’ ma mi sono servite tantissimo. Ho ‘rubato con gli occhi’ il mestiere, ho affrontato sfide e difficoltà, ho compreso i dettagli di un servizio, ho capito come gestire al meglio le persone, servirle, farle sentire bene. Tutto questo ha avuto un peso poi nel mio percorso: senza la gavetta, senza ‘toccare con mano’ l’universo della ristorazione non avrei intrapreso questa strada allo stesso modo”.
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