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Da rifugiato a fotografo, la storia di Mohamed Keita: “Insegno ai bambini in Mali quello che ho imparato in Italia”

Quando Mohamed Keita è arrivato in Italia era solo un ragazzino di 13 anni. Nato in Costa d’Avorio per sfuggire alla guerra ha perso entrambi i suoi genitori, ed è stato costretto ad abbandonare il suo paese ed iniziare una nuova vita da zero in Italia. Una volta a Roma, ha vissuto per qualche mese in strada, vicino alla stazione Termini. In questo triste momento della sua vita, è stato proprio in questo luogo che ha conosciuto la fotografia grazie a un volontario del Civico Zero di San Lorenzo, un centro di accoglienza migranti finanziato da Save The Children. “La passione per la fotografia è iniziata quando dormivo sulla strada. Quando ero piccolo la fotografia non la consideravo neanche – ha raccontato Keita a Sky tg24 -. Mi piaceva giocare a calcio e cantare. Questo viaggio mi ha insegnato tante cose ma non avevo il mezzo di come raccontarle. L’ho trovato grazie alla macchina fotografica. Cosa mi piace fotografare? La vita quotidiana delle persone. Non cerco la bellezza di una foto. Quello che mi interessa è condividere, attraverso un’immagine si può capire quello che pensa una persona. Ho sofferto molto nella mia vita proprio perché non avevo nessuno con cui condividere le mie esperienze”. (Continua a leggere dopo la foto)

“C’era un ragazzo di Salerno che studiava qui alla scuola di fotografia di San Lorenzo – ha ricordato il Keita -. Ci insegnava un po’ come funzionava la macchina fotografica. Mi ha dato le prime istruzioni su come stampare e sviluppare una foto. Poi ho avuto la possibilità di frequentare una scuola di fotografia che era qua accanto senza pagare. Non avevo niente da fare, avevo tanto tempo e ho iniziato a scattare”. (Continua a leggere dopo la foto)

La prima foto di Mohamed, e anche quella da cui è iniziata la sua carriera, è nata dentro la stazione Termini, dove ha dormito per 3 mesi e 20 giorni appena sbarcato in Italia. Un cartone, una coperta, uno zaino. “Non avevo neanche una foto della mia vita fino a quel momento. Ho pensato così di fare la foto del bagaglio mio e di conservarlo. “Quando un giorno cambierò quella condizione, ricordandola, mi eviterò di fare alcune scelte sbagliate”, mi ero detto. Tutto quello che faccio grazie alla fotografia è grazie a quella foto”. (Continua a leggere dopo la foto)

Così dopo a guerra, la fuga, il mare, la strada, e soprattutto la solitudine estrema, è arrivato per lui anche il riscatto. Oggi, all’età di 28 anni, è un fotografo riconosciuto e sta pubblicando il suo primo libro, dal titolo Roma 10-20, una raccolta dei suoi scatti nella capitale. Nel 2017 ha fondato Kenè, che in mandingo significa spazio, ovvero una scuola di fotografia per bambini e ragazzi a Bamako, in Mali, dove insegna loro “un nuovo modo di guardare il mondo”, grazie al sostegno della Fondazione Pianoterra Onlus. Il suo sogno è aprire altre scuole, magari proprio qui nel Paese che l’ha accolto, in Italia. Il suo primo scatto in assoluto ritrae un cartone, una busta di plastica piena di vestiti e una borsa nera: tutta la sua vita in un bagaglio, tutto quello che aveva quando è scappato dal suo Paese.

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