C’è una zona calda, caldissima per i militari italiani. Quelli che si trovano appostati sulle colline lungo il corso del fiume Litani, sventolando la bandiera dell’Onu. In mezzo tra Israele da una parte e Hezbollah dall’altra. Più di mille uomini che nel corso dei prossimi giorni vivranno momenti di altissima tensione, impegnati il periodo concreto che venga scatenata una rappresaglia nei confronti dello stato israeliano dopo l’uccisione di Soleimani voluta dagli Stati Uniti.
Si tratta di oltre mille uomini, per la maggior parte granatieri di Sardegna provenienti da Roma. L’Italia rischia di pagare, in questa crisi, colpe non proprie, relegata a un ruolo che dopo l’exploit con D’Alema e Prodi nel 2006 si è fatto sempre più marginale nella zona. Oltre agli uomini presenti in Libano, circa 150 carabinieri e incursori sono asserragliati in una caserma alle porte di Bagdad. Arrivati in zona per addestrare le truppe irachene a combattere l’Isis, si trovano ora in un Paese che è una pentola in ebollizione.
Situazione relativamente più tranquilla, invece, per i soldati dell’Ariete di Pordenone, circa 800, che si trovano a presidiare la base afghana di Herat, al confine con l’Iran. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha spiegato che la missione proseguirà nelle prossime settimane, anche se con un livello di sicurezza aumentato. Il vero problema è che i nostri militari operano ovunque fianco a fianco con quelli americani, bersaglio annuncio delle vendette per la morte di Soleimani.
Un quadro che alle insidie affianca anche opportunità per il nostro Paese, al quale gli Stati Uniti dovranno per forza di cose appoggiarsi sfruttando le nostre basi nella zona del Mediterraneo. Da Vicenza a Napoli passando per Livorno, un via vai che è già iniziato in queste ore. E che ci mette nella posizione di poter recitare un ruolo diverso da quello di semplici succubi della crisi iraniana.
Il vento della vendetta contro gli Usa: “La pagheranno per anni”