Uno dei personaggi più discussi della politica italiana, finito più volte al centro di feroci polemiche nel corso della sua lunghissima carriera. Tanto da ammettere che forse è un po’ “colpa mia”. Intervistato da Tommaso Labate per il Corriere della Sera, Massimo D’Alema ha parlato della sua immagine e della percezione degli italiani: “Non mi sono mai preoccupato troppo della mia popolarità e in questo ho sbagliato. L’aver lasciato che venisse veicolata un’idea così sbagliata della mia persona, arricchita spesso da menzogne, è stata una colpa. Snobismo, noncuranza, in certi casi sottovalutazione. Sono colpe”.
D’Alema ha ammesso di essersi arrabbiato, e parecchio, per la storia dei 5000 euro netti percepiti per un mese di lavoro da presidente della Fondazione dei socialisti europei: “Sono dispiaciuto e amareggiato da questa iniziativa folle. La meschinità umana non provoca arrabbiature. Provoca amarezza e dispiaceri. Le ho provate tante volte queste sensazioni. Faccio politica da cinquant’anni: se anche solo il dieci percento delle accuse che mi hanno rivolto si fosse rivelato fondato, a quest’ora sarei all’ergastolo. Secondo una vecchia barzelletta che si raccontava in Unione Sovietica, uno che non ha fatto nulla merita una pena di massimo cinque anni. A me è andata anche meglio che al tipo della barzelletta: non solo sono incensurato ma ho anche vinto tantissime cause per diffamazione”.
Guardando al passato, D’Alema ha ammesso che la scelta più spaventosa è stata la guerra in Kosovo (“L’ho vissuta con angoscia, anche personale, ma non mi sono mai pentito”) e di essere al corrente del ruolo di “antipatico” che si è ritagliato addosso con gli anni: “Ci ho messo del mio. Di fronte a una battuta sarcastica non ho mai resistito. E la gente non ama particolarmente l’essere oggetto di battute. Va anche precisato che tanti di quelli che pensavano fossi antipatico, conoscendomi personalmente, hanno poi cambiato idea. Non tutti. Ma tanti. Se mi capita di piangere? Non spesso. Però mi capita. Con l’avanzare dell’età succede più di frequente”.
D’Alema ha poi respinto le voci sulle vanterie fatte per le scarpe costose indossate negli anni, ha spiegato di non sentire Berlusconi dal 2015 e ha ammesso che non rifarebbe, col senno di poi, il presidente del Consiglio dopo la caduta del governo Prodi: “A conti fatti fu un errore. Non so se per il Paese, per me personalmente sì. Io spingevo perché nascesse un governo Ciampi ma non c’erano le condizioni. Avrei dovuto insistere di più”.
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