Una voragine chiamata debito pubblico, dalle dimensioni crescenti. Aumentata in un solo anno, quello che va da gennaio 2018 a gennaio 2019, di 71 miliardi di euro, un ritmo impressionante pari a circa 6 miliardi al mese, in crescita del 3,10 per cento. Il calcolo è quello elaborato da Unimpresa sulla base dei dati di Bankitalia. Numeri che inchiodano un governo chiamato a stretto giro al varo del Documento di economia e finanza, passaggio intorno al quale l’apprensione è notevolmente cresciuta.
Nel dettaglio negli ultimi dodici mesi, il debito pubblico è raddoppiato passando da circa 2,93 miliardi al mese registrato tra gennaio 2018 e gennaio 2017 a ben 5,92 miliardi al mese registrato nei 12 mesi successivi. Se a gennaio 2017 il debito pubblico era a quota 2.251,4 miliardi, un anno dopo a gennaio 2018 è salito di 71,02 miliardi (+1,56%) arrivando a 2.286,9 miliardi. A gennaio 2019 invece è aumentato di ulteriori 71,02 miliardi (+3,10%) arrivando a 2.358,1 miliardi.
Punta il dito contro le scelte politiche ed economiche dell’attuale governo giallo-verde guidato dal premier Giuseppe Conte il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci: “Si spende di più a danni delle finanze pubbliche, ma i benefici non vengono trasmessi alla cosiddetta economia reale. L’analisi del debito ci consente di giudicare le scelte di politica economica, di capire come ci valutano gli investitori stranieri e di valutare il futuro: la sensazione è che si punti a ottenere consenso a breve termine e si stiano sacrificando misure di lungo respiro”.
E mentre prevale il pessimismo sui mercati, nelle ultime settimane è tornato sotto osservazione lo spread, di nuovo sopra quota 250, mentre il numero due dell’Fmi David Lipton ha parlato di “evidenti vulnerabilità dell’Italia”, ipotizzando una nuova contrazione economica nel primo semestre del 2019. Un quadro generale non certo incoraggiante per un governo che, nel frattempo, è tornato all’attacco del ministro dell’Economia Tria.
Il peggiore dei record: debito pubblico alle stelle, i conti (che non tornano) nelle tasche del Paese