Il decreto Genova e il decreto Sicurezza mettono a dura prova la maggioranza. I nodi tra Lega e Movimento 5 Stelle vengono al pettine e non sono mai stati così spinosi. Sull’emergenza causata dal crollo del ponte Morandi, il partito di Salvini parla di “decreto fantasma”, lasciando trapelare tutta l’irritazione per una questione che doveva essere gestita dai 5 Stelle e che ancora non ha prodotto risultati, visto che il testo ancora non si è visto. Sull’altro fronte, i pentsastellati sono contrari alla stretta che Salvini vuole dare in materia di permessi d’asilo e protezione umanitaria.
“Mi pare che i Cinquestelle siano determinati a non dare ad Autostrade alcun ruolo sulla ricostruzione, sebbene la convenzione non sia ancora stata revocata. Qualcuno dovrebbe spiegare loro come funziona il diritto”: il primo ad alzare i toni e portare alla luce del sole il malcontento leghista per il decreto su Genova è Giancarlo Giorgetti, a colloquio con grand commis, magistrati e dirigenti leghisti a margine del convegno annuale dei giudici amministrativi e contabili sul lago di Como. Il testo non è arrivato al Quirinale nonostante gli annunci in conferenza stampa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del concentratissimo Danilo Toninelli.
“È una vicenda che hanno gestito loro, spero abbiano finito la rifinitura tecnica perché sta passando troppo tempo e dobbiamo dare una risposta a Genova”. Giorgetti avrebbe voluto un decreto asciutto e immediato: aiuti urgenti, commissario e avvio della ricostruzione. Più in là, sempre con decreto, tutto il resto. “Purtroppo – spiega a chi gli chiede conto dei rinvii – hanno voluto appiccicarci troppe cose. Risultato: più aumenti il numero dei vagoni più il treno rallenta”. Ora il problema è duplice. “Immaginavo un percorso superveloce. Invece mettendo dentro 30 o 40 articoli anche l’iter parlamentare diventerà complicatissimo”. E i 5 Stelle gli rispondono per le rime: “Giorgetti ci sabota”. Sì, tira aria buona in maggioranza…
In ogni caso, prima deve esserci il vaglio del Quirinale. Che, a differenza del decreto sicurezza, non è stato preventivamente e informalmente consultato. Nel pomeriggio di ieri fonti grilline esultavano: decreto pronto, Mattarella firma prima di domani, quando sarà a Genova al Salone nautico. Ai leghisti non risulta la prima parte del desiderio, al Colle la seconda.
Il testo ancora bolle nel calderone degli uffici legislativi di ministero delle Infrastrutture e Palazzo Chigi. Impensabile che il capo dello Stato possa firmare ad horas un decreto così articolato e suscettibile di osservazioni a livello costituzionale e di diritto comunitario. Il sottosegretario alle infrastrutture Armando Siri (Lega) mette a nudo Toninelli con una frase agghiacciante: “Serve uno che prenda in mano il decreto e dica: ‘È così, non voglio sentir fiatare nessuno'”, facendo capire che il ministro non ha polso ed è sotto schiaffo da troppe influenze esterne.
Anche sul nome del commissario tutto tace. Nelle ultime ore ha iniziato a circolare con insistenza il nome di Rodolfo De Dominicis, presidente e Ad di Uirnet, ma tra i tecnici si parla anche del giurista di Alfonso Celotto. Sulle concessioni è panico: le società pubbliche che il governo voleva incaricare per la ricostruzione (Fincantieri e Italfer) non hanno le certififazioni Soa che secondo il codice degli appalti sono necessarie per costruire opere pubbliche. Per questo il presidente della Liguria guarda con interesse al piano di Autostrade (che tutti volevano tagliar fuori): cotruzione del nuovo ponte in 16 mesi. Salvini, però, glissa: “Deciderà il commissario”. Intanto, Genova aspetta e l’opposizione attacca.
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