Nel presentarlo, ricorrendo al solito cinguettio virtuale, Matteo Salvini aveva parlato del decreto sicurezza-immigrazione come di un prezioso strumento “per portare più sicurezza nelle case degli italiani, nelle strade italiane e che fa spendere meno per un’immigrazione per cui abbiamo già dato e pagato”. “Un bel passo in avanti nella lotta contro mafiosi, delinquenti e scafisti” insisteva il leader del Carroccio su Twitte. Eppure dietro il testo appena approvato dal Consiglio dei Ministri si nascondono ancora dubbi e tensioni pronte a esplodere nelle settimane che verranno. Un primo “stop and go” era arrivato a causa di dubbi sulla costituzionalità del provvedimento. Per l’uso del decreto legge, strumento al quale si può ricorrere solo per questioni di necessità e urgenza (sotto questo profilo sono poi arrivate le inevitabili limature). E per i contenuti, contro i quali hanno puntato il dito un po’ tutti, fuori dalle fila della Lega.
Sul fronte migranti, quello più caro a Salvini, a far discutere è innanzitutto lo stop ai permessi di soggiorno per motivi umanitari, sostituiti con permessi per meriti civili o cure mediche. E ancora, le polemiche hanno interessato anche il raddoppio da 3 a 6 mesi dei tempi di trattenimento nei Centri per i Rimpatri, l’aumento dei reati per cui si revoca lo status di rifugiato e i progetti di integrazione sociali riservati a titolari di protezione e minori non accompagnati. Aggiungete a queste misure il raddoppio dei tempi (da 2 a 4 anni) della concessione della cittadinanza per matrimonio e per residenza, ed ecco sollevato il dubbio di un possibile contrasto con le tutele previste dalla Costituzione e dalla Consulta in temi di diritti civili, eventualità che potrebbe spingere il Quirinale a non firmare.
Un provvedimento che ha già scatenato le opposizione e fatto storcere parecchio il naso alla Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, con monsignor Nunzio Galantino a chiedersi “come mai si parli di immigrati nel decreto sicurezza, un brutto segnale sul piano culturale”. La partita, però, si gioca anche e sopratutto all’interno della maggioranza, con i Cinque Stelle stanchi di lasciarsi imporre l’agenda politica da Salvini, in costante ascesa nei sondaggi, e che fanno le prove in vista di una drastica inversione di rotta. Sulle pagine de
Il Fatto Quotidiano, Luigi Di Maio ha sottolineato come nello schema di legge “ci sono alcuni punti che non sono nel contratto di governo, li discuteremo in Parlamento”. A fargli eco il senatore pentastellato Gregorio De Falcoin: “
Sono molto perplesso riguardo alla protezione umanitaria. Si tratta di un diritto universale”. Uno scontro tra gialli e verdi con sullo sfondo l’ipotesi di un possibile stop al decreto da parte di Mattarella: un cocktail esplosivo pronto a essere servito nei prossimi, intensissimi giorni.