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Il dissidente De Falco non si piega a Salvimaio: perché la maggioranza ora è a rischio

Di continuo il senatore Gregorio De Falco, uno dei “dissidenti” del Movimento 5 Stelle (divenuto celebre per il caso Schettino all’epoca del naufragio della Concordia) si interrompe per leggere i messaggi whatsapp che gli arrivano sullo smartphone. Un consigliere toscano del M5S lo implora: “Confido nel tuo buon senso”. De Falco gli risponde con un messaggio audio: “Ma hai letto i miei emendamenti? Qualcuno si prende la briga di parlare di contenuti?”. Lo chiamano in tanti… “Sì, ma non aspiro a diventare frontman di nulla. Mi attengo al programma, al contratto di governo, e al parere dei costituzionalisti. Sento parlare di tradimento, affermazioni violente. Ma un parlamentare non può essere accusato di tradimento se segue i dettami del Movimento a cui appartiene”.

E poi confessa: “Di Maio mi ha scritto implorandomi di non far cadere il governo. Io però ho parlato con Conte, una persona intelligente, e sembrava d’accordo con me. Il problema non è Salvini, ma noi che non sappiamo imporci e non ci facciamo valere”. Luigi Di Maio, ieri aveva convocato un’assemblea congiunta per sciogliere i nodi relativi ai dossier più spinosi: dal Tap al decreto Sicurezza, passando per la manovra economica.

Ma, nonostante il premier Giuseppe Conte abbia esortato tutti quanti a “rispettare il contratto di governo”, la riunione è stata disertata dalla senatrice Paola Nugnes, tra i più accesi oppositori del decreto targato Matteo Salvini. “Siamo fuori tempo massimo per parlare del decreto sicurezza e per cercare un modo di partecipare e collaborare”. Anche Matteo Mantero non ha partecipato. Dice che è seriamente orientato a non votare “anche se ci fosse la fiducia”.

I numeri ora si contano sul bilancino. Ce n’è uno solo di differenza tra maggioranza e opposizione in commissione Affari costituzionali del Senato, mentre ce ne sono sedici di differenza a favore di Lega e Cinque Stelle a Palazzo Madama. Su questi numeri si potrebbe giocare la tenuta del governo gialloverde sul decreto Sicurezza, tanto più se, come sembra sempre più plausibile, l’esecutivo dovesse porre la fiducia.

Se in commissione, tuttavia, non dovessero sorgere problemi e il provvedimento dovesse essere licenziato senza incidenti, come del resto sta accadendo nelle votazioni sugli emendamenti, la questione dei numeri potrebbe rappresentare un pericolo durante l’esame in Aula, dove il provvedimento approderà lunedì prossimo. Tutto si gioca su una manciata di voti dal momento che i numeri della maggioranza a palazzo Madama non garantiscono ampi margini di sicurezza. Con i 58 senatori del Carroccio e i 109 grillini, l’esecutivo ha una maggioranza di 167 voti.

Le altre forze di opposizione, invece, possono contare su 151 voti. La differenza è, quindi, di sedici voti. Al momento, oltre alla Nugnes e a Mantero, i “dissidenti” grillini usciti allo scoperto sono Elena Fattori e Gregorio De Falco. “Siamo tutti compatti come una testuggine, bisogna vedere però in che direzione va questa testuggine – commenta Mantero – in questo momento ha ‘scarrocciato’ verso destra, bisognerebbe riportarla più al centro della strada”.

Se dovessero confermare tutti di non votare a favore del decreto, la maggioranza scenderebbe a 163, due voti in più rispetto alla maggioranza assoluta. Ne consegue che, anche se tutte le opposizioni dovessero votare compatte contro, il governo non avrebbe problemi. La questione diventerebbe più delicata qualora il malumore dentro i Cinque Stelle dovesse aumentare e conquistare altri voti. Per mettere a rischio la maggioranza, la fronda dei “dissidenti” dovrebbe crescere e arrivare ad almeno una decina di voti.

A quel punto, sarebbero solo un paio i voti di scarto a vantaggio della maggioranza e non sarebbero consentite assenze ingiustificate che potrebbero davvero mettere a repentaglio la tenuta del governo. Un voto contrario, però, potrebbe anche dare il via a una raffica di espulsioni dal Movimento 5 Stelle.

 

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