Liti, chiarimenti, riappacificazioni. E poi di nuovo insulti. Un polverone continuo alzato da Lega e Cinque Stelle, che continuano ad animare il percorso di avvicinamento alle europee con i loro contrasti, più o meno reali. La sensazione è che da qui al 26 maggio ne sentiremo davvero di tutti i colori. Ma la situazione non piace affatto al Quirinale, preoccupato all’idea che il “teatrino” serva a giustificare il blocco dell’azione di governo, immobile in attesa del verdetto delle urne.
I fronti aperti su cui Lega e Cinque stelle si accapigliano sono tanti, troppi. Ogni giorno, sostanzialmente, ne arriva uno nuovo. Dal
decreto Crescita al Salva Roma, dal caso Siri alla leva obbligatoria, dalla Resistenza all’aborto. Poi, puntualmente, dopo la ressa i contendenti assicurano di voler andar avanti insieme, a braccetto. “Abbiamo tante cose da fare, lavoriamo con entusiasmo e non c’ è nessuna crisi di governo alle porte” giurava Salvini. Di Maio ribadiva pronto: “Certo che nessuno apre crisi di governo, con tutte le cose che abbiamo ancora da fare”.Un attimo dopo i due erano di nuovo intenti a sputarsi addosso i veleni. Salvini attaccava la Raggi: “I cittadini romani non hanno bisogno di regali ma di una amministrazione efficiente”. Di Maio spostava le attenzioni sul caso Siri, per ripicca: “Deve dimettersi. Sulla legalità passi indietro non ne faremo mai”. In mezzo Conte, che annunciava: “
Ascolterò il sottosegretario, lo guarderò negli occhi e prenderò le mie decisioni tenendo conto del principio di innocenza a cui come giurista sono molto sensibile”.Insomma, un copione visto e rivisto più volte che continua ad andare in scena senza significative variazioni. Il governo litiga, si spacca, sembra sul punto di esplodere. Poi si salda di nuovo e va avanti. Tra le preoccupazioni generali di chi, soprattutto sul fronte economico, non vede buone nuove all’orizzonte.
“Molla quel damerino”. Il popolo leghista spinge Salvini allo strappo con Di Maio