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Di Maio punta a una scissione bis del M5S: Conte alle corde

Ore febbrili per le sorti del governo Draghi. In vista del suo passaggio in Parlamento previsto per mercoledì prossimo, il presidente del Consiglio non lascia trapelare quali siano le sue vere intenzioni. Teoricamente il premier ha già respinto con forza l’ipotesi di un governo Draghi bis. Ma in pratica tutte le forze politiche che lo sostengono stanno lavorando a questa opzione. Tutti però vorrebbero fuori dalla maggioranza il M5S di Giuseppe Conte. E così l’ex pentastellato Luigi Di Maio avrebbe architettato un piano per far fuori Conte e, allo stesso tempo, tenersi Draghi.

Luigi Di Maio e Giuseppe Conte

È il quotidiano Repubblica a lanciare un succoso retroscena secondo cui 30 o 40 parlamentari, rimasti per il momento fedeli a Conte, sarebbero pronti ad abbandonare il Movimento in caso di uno strappo definitivo con Draghi e di un’uscita dei pentastellati dalla maggioranza. Affinché l’ammutinamento pro draghiano funzioni, questa la confessione di un dimaiano rimasto per il momento anonimo, “bisogna arrivare a mercoledì in aula con la scissione già bella e fatta. E ci serve il cinghialone, l’uomo simbolo, di peso”. Cinghialone che risponderebbe al nome di Davide Crippa, capogruppo M5S alla Camera.

Se poi nel gruppo dei nuovi scissionisti ci fossero anche ministri come Federico D’Incà e Fabiana Dadone sarebbe ancora meglio, ragionano gli uomini di Di Maio. L’intenzione dunque sarebbe quella di far uscire questo gruppo dal M5S già nelle prossime ore. Non per confluire in Insieme per il futuro, la formazione politica dimaiana, ma per formare un gruppo autonomo che faccia da ulteriore stampella a Draghi e lasci isolato all’opposizione quel che resta del vecchio Movimento, ormai diventato semplicemente il ‘partito di Conte’

“Anche io ero fra quelle persone che credevano che il nuovo corso avrebbe potuto far nascere un Movimento rinnovato. – confessa la parlamentare contiana Maria Soave Alemanno – Oggi, alla luce degli eventi, riconosco d’essere caduta in errore. Un capo politico che non risponde a messaggi, telefonate e non interagisce con i propri parlamentari, non aiuta a costruire un gruppo coeso. I vicepresidenti, d’altra parte, avrebbero potuto essere il nesso tra noi e lui, ma quando qualcuno ha provato a esporre il problema, è stato anche redarguito”.

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