La nascita di un figlio è sempre una grande gioia per un neo-genitore, ma occuparsi di una nuova vita richiede grandi sacrifici che non sempre si riescono a conciliare con il lavoro. Solo nel 2019, sono stati circa 51mila i neo-genitori sono stati costretti a dimettersi dal posto di lavoro, e in 7 casi su dieci a lasciare l’impiego sono state donne. Il difficile quadro è emerso dagli ultimi dati diffusi dall’Ispettorato del Lavoro (Inl) che ogni 12 mesi aggiorna le informazioni sulle convalide di dimissioni e risoluzioni consensuali di madri e padri. Secondo l’indagine, sono state 37.611 le lavoratrici neo-mamme che si sono dimesse nel corso del 2019, mentre i padri che hanno lasciato il posto sono stati 13.947.
L’istituto infatti è chiamato a dare il proprio via libera alle domande di dimissioni presentate dai lavoratori per verificare che non ci siano irregolarità, ad esempio che la presunta volontarietà mascheri un obbligo imposto dal datore di lavoro. Nei casi riportati c’è quindi il bollino dell’Inl che ha convalidato il provvedimento in questione, sentendo i lavoratori, con figli sotto i tre anni, e informandoli sui loro diritti di lavoratrici madri o lavoratori padri. L’istituto tiene il conteggio di tutte le dimissioni perché dà il via libera alle domande presentate per poter verificare che non ci siano irregolarità e che, per esempio, non si tratti di dimissioni che servono a celare l’obbligo imposto dal datore di lavoro.
L’ispettorato del lavoro avvia quindi una procedura con cui informa i lavoratori con figli al di sotto dei tre anni sui loro diritti come genitori lavoratori. E tiene poi il conto dei casi registrati. Che sono quasi sempre – in circa 49mila casi – dimissioni volontarie. Ma rimane un problema che riguarda soprattutto le donne, ovvero la difficoltà di conciliare l’occupazione con l’esigenza della cura dei figli: motivazione indicata in 21mila casi. Peraltro questa motivazione viene indicata soprattutto nei casi in cui non ci siano nonni o altri parenti a poter prendersi cura dei bambini, oppure per i costi eccessivi degli asili nido o dei servizi di baby-sitting.
In altri 20mila casi, invece, le motivazioni sono fortunatamente ben diverse: si tratta di dimissioni legate al passaggio a un’altra azienda. Con un dato in aumento rispetto al passato. Secondo l’ispettorato, spesso questo avviene perché il lavoratore ritiene che un’altra azienda possa offrire condizioni più favorevoli per conciliare la genitorialità con il lavoro. Si segnalano, poi, 1.666 casi di dimissioni per giusta causa, come avviene quando non viene pagato lo stipendio al lavoratore. Infine, in 884 casi ci si trova di fronte a dimissioni per risoluzioni consensuali.
Ti potrebbe interessar anche: Stipendi, uomini stressati se le donne guadagnano quanto loro o più di loro