L’ultimo rapporto Istat sul lavoro (Focus Annuale 2017) fotografa quello che ogni donna che ha un impiego, o che è in cerca di occupazione, ha già sperimentato sulla propria pelle: in Italia le donne trovano lavoro con più difficoltà e quando lo trovano sono sottostimate e sottopagate. Rispetto al rapporto precedente, datato 2006, il tasso di occupazione femminile è in leggera crescita.
Formazione e inserimento nel mondo del lavoro
Le ragazze italiane studiano e mediamente ottengono votazioni migliori rispetto ai loro compagni di classe: il voto medio di diploma delle studentesse alla maturità è di 78,3/100, contro al 75,2 degli studenti maschi. La presenza femminile all’università è maggiore e, in media, le studentesse si laureano in minor tempo e con voti più alti: 101,1 il voto medio maschile contro 103,2 di quello femminile. Eppure non basta un curriculum formativo di tutto rispetto per riuscire ad entrare nel mondo del lavoro: a distanza di 5 anni dalla laurea magistrale risultano occupati il 90% degli uomini contro l’80% delle donne, con i primi che hanno ottenuto un contratto a tempo indeterminato per il 58% dei casi contro il 48% delle colleghe.
Gap salariale
Se confrontiamo gli stipendi il gap tra donne e uomini risulta ancora più evidente: a cinque anni dalla laurea magistrale una donna guadagna in media 1.354 euro mentre lo stipendio maschile, a parità di condizioni lavorative, sale a 1.624 euro. Nell’arco del tempo la forbice aumenta ulteriormente mentre diminuisce la possibilità di fare carriera ed ottenere posizioni prestigiose. Il reddito medio dei lavoratori dipendenti nella fascia tra i 58 e i 63 anni è intorno ai 38 mila euro per gli uomini contro i 26 mila delle donne. Va da sé che quindi anche le pensioni hanno di conseguenza importi parecchio diversi.
Il gap salariale non è un problema tutto italiano, anzi la media europea di divario della remunerazione di una singola ora lavorata da un uomo o da una donna si attesta sul 16,3%, per arrivare a sfiorare il 21% in UK e il 22% in Germania. L’Italia e il Lussemburgo con soltanto il 5,5% di divario rappresentano un faro a cui guardano le politiche per il lavoro al femminile dell’UE.
Le casalinghe
Negli ultimi dieci anni il numero delle casalinghe è sceso di 518 mila unità: nel 2006 erano 7 milioni e 856 mila e lo scorso anno ne sono state censite ancora 7 milioni e 338 mila e più della metà di queste non ha mai svolto un lavoro fuori casa. Le altre sono tornate al solo lavoro tra le mura domestiche dopo il parto o per la necessità di accudire gli anziani. Trovare una nuova occupazione, una volta uscite ‘dal giro’ non è semplice, anche adattandosi a lavori di livello inferiore rispetto alla propria formazione, al part time o ad altri tipi di flessibilità. E la necessità di trovare una occupazione per far quadrare il bilancio c’è, dal momento che fare la casalinga in Italia non è un lavoro redditizio: una su dieci vive in regime di povertà assoluta, le altre possono contare su altre fonti di reddito in famiglia o sulla pensione minima, che comunque non garantisce una vecchiaia dignitosa.