“Come non capire le colleghe che hanno mollato tutto? Quest’estate ero a un passo dal farlo pure io”. Sono le parole di Erika De Maio, dottoressa di mediana generale di Torino, che racconta come l’avvento del Covid abbia reso ancora più difficile per una donna il conciliare il lavoro con la famiglia. Di recente infatti la Fimmg (Federazione italiana Medici di Medicina Generale) ha lanciato l’allarme: in pochi mesi dodici dottoresse di famiglia in Piemonte hanno abbandonato la professione, ed in futuro potrebbe andare anche peggio. Secondo la federazione, al carico di lavoro si sommano le conseguenze della carenza di medici di medicina generale. Un fenomeno in crescita, considerato che molti stanno andando in pensione: “Se una volta un medico di famiglia restava in servizio fino a 67 anni e anche più, ora chi può va via prima” , ha detto Roberto Venesia, segretario piemontese della Fimmg.
La testimonianza della dottoressa Erika De Maio sembrerebbe confermare il trend. “Non sono stupita per niente – ha detto la donna a Repubblica -. Non sono mai stata sessista ma su questo punto lo sto diventando. Molti colleghi sono separati perché avere tempo da dedicare alla famiglia sta diventando impossibile, ma quelli di una generazione precedente, che hanno a casa mogli che gestiscono la famiglia possono dedicarsi totalmente al lavoro. Così diventa tutto più sopportabile, anche se per tutti noi è stancante allo sfinimento”. Ed è stato proprio questa estate che anche Erika è stata ad un passo dal mollare tutto anche lei. “Una sera sono arrivata a casa alle dieci di sera in lacrime. Non ce la facevo più dopo dodici-tredici ore di lavoro. A marzo abbiamo cominciato a vaccinare per il Covid, io sono una dottoressa “massimalista”, vuol dire che ho più di 1500 pazienti, precisamente 1540. E non potrei ridurre il numero neppure se volessi. L’Asl non me lo consente. Chiamavano in centinaia ogni giorno per i vaccini, chi aveva paura per il caso AstraZeneca, chi voleva spostare perché doveva andare in vacanza, le forniture non arrivavano. Un inferno che si aggiungeva alla nostra attività ordinaria”.
Come si può immaginare la pandemia non ha fatto altro che aggravare ancor di più la situazione. “Il Covid ha cambiato radicalmente la nostra vita. Prima c’era l’ambulatorio, le visite domiciliari, il lavoro nelle Rsa, il rapporto con le assistenti sociali. Si è aggiunta tutta l’attività per la pandemia, il contact tracing, vaccini, tamponi, visite con scafandri”.
Oltre la professione di medico Erika è anche una madre a tempo pieno ma conciliare entrambe le cose non è per nulla semplice, come dimostra il racconto di una sua giornata tipo: “Oggi alle sette ero in studio, alle otto ho cominciato a visitare fino all’una. Nel pomeriggio ho fatto una visita domiciliare e sono andata in una Rsa dove c’è una mia paziente. Alle 17 sono riuscita da andare a prendere mio figlio a scuola. Se visito al pomeriggio è dalle 14 alle 19 e al mattino ho tutto il resto. La mattina del sabato mi metto qualche visita. Se ho lavoro arretrato vado in ambulatorio la domenica. I miei bimbi hanno quattro e sette anni. E quando erano piccoli e di notte avevano la febbre al mattino io in ambulatorio dovevo andare in ogni caso. Non avevo scelta. Chi trova un sostituto alle tre di notte? Nessun dubbio che sei bambini fossero piccolissimi adesso, avrei già smesso”.
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