Una delle ministre più sotto assedio – e in gran parte per giusti motivi – è senza dubbio stata quella dell’Istruzione, Lucia Azzolina. Tra i tanti motivi che l’hanno fatta trovare sotto scacco, c’è stata – verso la fine dell’anno scorso – la proposta di prolungare l’anno scolastico fino a fine giugno. Ci fu una levata di scudi da parte di studenti, professori, sindacati, giornalisti, commentatori. La stessa proposta, però, l’ha rilanciata proprio oggi, 9 febbraio, Mario Draghi, col favore di giornalisti, commentatori e nel silenzio dei sindacati. Qui non si vuol far la difesa d’ufficio della Azzolina, ci mancherebbe, ma si vuol sottolineare una questione di metodo. Quando la proposta arrivò dalla Azzolina, si scatenò il putiferio, adesso, invece, nell’onda incensatoria del neo premier, va tutto bene. Le criticità del prolungamento della scuola fino al 30 giugno, però restano le stesse. Vediamole.
L’allungamento dell’anno scolastico fino al 30 giugno o ai primi di luglio avanzato dalla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, durante un’intervista a La 7, aveva destato vivaci reazioni. Su Orizzonte Scuola era subito intervenuta, ad esempio, la segretaria della Cisl Scuola, Maddalena Gissi: “Mi pare un’idea inopportuna quella della ministra. Ci sono scuole dove l’attività non si è mai interrotta, anzi, ci sono scuole in cui si è sempre lavorato tra mille difficoltà. Le scuole sono aperte, nessuno ha chiuso. Il personale in quarantena ha continuato l’attività didattica a distanza. Si possono individuare soluzioni per le aree più a rischio. Se ci sono situazioni acclarate si possono attivare i patti di comunità con il coinvolgimento degli enti locali”.
Poi rilanciava: “La scuola è autonoma, saprà ben scegliere le necessità degli alunni ed è inopportuno in questo momento lanciare questo messaggio. Non ricominciamo a diffondere l’idea anche tra gli studenti, che
quello che si fa a scuola ora è inutile o insufficiente. Si rischia di demotivare chi sta lavorando seriamente e con impegno”. Sull’ipotesi di rimodulazione del calendario scolastico, affermava: “Si deve pensare ad un calendario uguale per tutti, cioè valido sia per Sondrio e per Lampedusa, ad esempio e credo che in estate la situazione climatica nelle due località che ho citato sia diversa”.
La proposta di Draghi, così come quella della Azzolina, poggia su una convinzione di fondo decisamente sbagliata: è come se pensassero che la scuola fatta fin qui non sia valsa. Eppure gli insegnanti hanno continuato a lavorare e gli studenti uguale. Inoltre: svolgere attività didattica sino alla fine di giugno o anche più è un’operazione molto difficile da realizzare. Non esistono nelle classi italiane sistemi di aria condizionata, ad esempio. Come si fa a fare lezione quando la temperatura sfiora i 40 gradi? Poi: come si possono svolgere le operazioni e gli esami di fine anno nei mesi di luglio ed agosto? Infine, non si comprende quando potranno i docenti prendere le ferie obbligatorie (fino a 32 più 4 giorni, da fruire obbligatoriamente entro il 31 agosto di ogni anno).
A partire dagli insegnanti, nel caso passasse lo slittamento della fine delle lezioni, impegnati negli esami di Stato fino alla prima decade di agosto (considerando che oggi terminano in media attorno a metà luglio). A meno che il prossimo anno scolastico non riprenda, come avveniva fino a qualche decennio fa, solo ad ottobre inoltrato. E la fregatura più grande, come sempre, cadrebbe sui docenti precari, quelli con scadenza del contratto al 30 giugno in modo particolare. Un’altra volta la scuola viene messa nel frullatore dell’incompetenza di chi dovrebbe assumere decisioni e sembra non conoscere nulla della scuola stessa. Draghi ci rifletta bene.
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