Non c’è solo il Movimento Cinque Stelle tra i partiti che si interrogano sul proprio futuro a partire dalla leadership. Anche nel Partito Democratico, infatti, è partito il processo a danno di Nicola Zingaretti, figura che divide i dem e sulla quale non tutti sono pronti a scommettere. A lanciarsi contro il governatore del Lazio è stato per primo il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che ha chiesto un cambio al vertice sostenendo che il segreto del successo sia puntare sugli amministratori locali.
D’altronde da mesi ormai si rincorrono le voci sul malumore degli iscritti al partito, che lamentano l’immobilismo di un Zingaretti che continua a non voler uscire allo scoperto: mai una presa di posizione forte, mai un affondo. Una mancanza di polso che, spiegano i detrattori, potrebbe costare carissimo in vista delle prossime elezioni: Giuseppe Conte è sempre dietro l’angolo, pronto a lanciarsi in un’avventura politica che potrebbe portare via voti preziosi proprio dal bacino dem.
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Il nome che circola insistentemente come successore di Zingaretti è quello de
l presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Una figura capace di sconfiggere la Lega di Salvini già negli scorsi mesi, apprezzata per il suo impegno e pronto a fare un altro passo in avanti. Contro Gori e le sue critiche a Zingaretti si è però subito schierato il capo delegazione al governo Dario Franceschini.
“Ho letto questa interessante proposta di Gori che dice che al Pd serve un leader che sia un amministratore – ha detto Franceschini – Magari un presidente di Regione? Magari di una grande Regione? Magari che non venga nominato ma vinca le primarie con il 70%? Informo volentieri Gori che il segretario con queste caratteristiche l’abbiamo già e che il mandato di Zingaretti scadrà tra tre anni”.
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