Italians do it better. O per lo meno di una cosa si può stare certi: gli italiani lo fanno con stile, creando quella bellezza e quella unicità che il mondo invidia al Belpaese in ogni settore e che negli ultimi 10 anni ha permesso all’economia dello Stivale di tenere botta nonostante la crisi. Ruota intorno a questo concetto “Lo stile italiano” di Romano Benini (Donzelli, 2018), giornalista e scrittore, docente di Italian fashion industries e Sociologia economica del welfare, che con questo volume si propone l’arduo compito di ripercorrere la storia, in chiave etica ed estetica, della cultura del Made in Italy.
Nell’estetica, nell’eleganza, nell’intelligenza italiana – in una parola: nello stile italiano – non si può prescindere da quei valori di fondo, il bello e il buono, che tengono su il paradigma di riferimento di una società. In questo contesto, “l’influenza della politica dell’impero romano o delle potenze rinascimentali – dice l’autore – diventa il frutto non del potere delle armi o del condizionamento economico, ma la trasmissione stessa di un sistema di regole di riferimento, di strumenti culturali e di standard di benessere condiviso”.La ricerca del buono e del bello è da sempre, pertanto, la vocazione del nostro Paese, nella perpetua ricerca dell’armonia. E’ proprio grazie a questa vocazione se sono state concepite la Cupola del Brunelleschi o la Cappella Sistina. La bellezza è una scelta, e se la politica va intesa come la stesura di un romanzo collettivo, questo non si può che scrivere in bella copia. Lo avevano capito gli Etruschi per primi che lo stile è ciò che crea bellezza come appagamento sociale: gli Etruschi rappresentano, infatti, la prima vera civiltà della bellezza, incentrata non tanto sullo scopo politico espansionistico, quanto sull’obiettivo di diffondere benessere all’interno della propria società.
La volontà di bellezza degli Etruschi, ricorda Benini, supera la volontà di dominio e anticipa quelli che saranno poi i presupposti del Rinascimento: l’etica insieme all’estetica, il bello e il buono. Su queste basi sono state realizzate la Cupola del Brunelleschi e la Cappella Sistina. Una sfida di stile che è soprattutto una sfida politica, che contrappone la società del buon gusto, della qualità, del benessere collettivo a quella dei consumi, della quantità, dell’individualismo che massifica i modelli di vita.Come si supera, quindi, il contemporaneo sistema spersonalizzato e globalizzato di sviluppo? Tornando a puntare sulla bellezza e sulla bontà, sulla qualità, sull’originalità, sulla produzione che differenzia e non massifica. Perché è solo attraverso questo passaggio “altro” rispetto ad una concezione consumistica standardizzata che si può recuperare quella kalogatìa tutta italiana che eleva il Belpaese sul piano economico e soprattutto sociale. “Riscoprire, rispettare, proteggere e restaurare le grandi realizzazioni urbane, civili, artistiche e del paesaggio è un modo per onorare la propria cultura, il proprio stile – spiega Benini – L’estetica e lo stile sono oggi in Italia la chiave per comprendere l’etica, il sistema di valori e di regole che definisce le scelte di fondo degli italiani, portatori di quella tradizione che per secoli in Occidente, fin dal pensiero greco e poi attraverso il Rinascimento, ha considerato determinante la connessione tra il bello e il bene”.
Lo stile italiano è unico al mondo perché reca con sé il valore della bellezza in senso assoluto, E’ la narrazione di una nazione e della sua gente, di tante comunità che nei secoli sono divenute popolo, legate dal comune bagaglio valoriale dello stile stesso, ricorda Benini. È il trait d’union tra storia, economia e cultura di un Paese che continua a salvarsi grazie alla convinzione che la bellezza salverà il mondo. Una politica che non guarda allo stile e che rinuncia alla bellezza, pertanto, abdica alla tecnica e rinuncia a se stessa, alla capacità di essere allo stesso tempo kalòs kai agathos. Una politica che tradisce la bellezza tradisce l’Italia.
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