La tensione è tornata alta, all’interno della Lega, con l’avvicinarsi dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Con i soliti schieramenti a darsi battaglia: da un lato Matteo Salvini e i suoi fedelissimi, dall’altro quella parte di Carroccio da tempo ormai vicina al ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti. Una sfida non nuova, quella tra i due, sempre più distanti. E che ha origini in realtà lontane, venute alla luce soltanto negli ultimi mesi.
Durante l’ultima puntata di Porta a Porta, è stato un altro ministro, Stefano Patuanelli, a scoperchiare il vaso di Pandora: “Nel 2009 Salvini ha preferito far cadere il governo piuttosto che vedere Giorgetti diventare commissario europeo”. Nessuno lo aveva mai detto in maniera così netta, anche se la voce era circolata già all’epoca. Una rivelazione che permette così di rileggere quell’improvvisa crisi gialloverde, nella famosa estate del Papeete, quando i sondaggi premiavano la Lega e nessuno riuscì a capire il senso dello strappo voluto da Salvini con il M5S.
Stando a Patuanelli, dunque, Salvini avrebbe preferito sacrificare il governo e un ruolo di primissimo piano come quello di ministro degli Interni pur di salvare un partito che gli stava pericolosamente sfuggendo di mano in favore di Giorgetti, in ascesa tra gli esponenti del Carroccio. La nomina di commissario europeo avrebbe dato il colpo di grazia alla leadership del Capitano, che ha così scelto di schiantare la nave piuttosto che cederne il comando. Un passaggio che è stato l’inizio della fine, con i sondaggi da quel momento in poi sempre meno benevoli.
L’accordo, come riportato dalle testate nel 2009, era semplice: la Lega avrebbe preso le distanze dal suo passato sovranista votando la fiducia alla Commissione europea di Ursula von der Leyen e in cambio avrebbe ottenuto il commissario europeo. Ma con Giorgetti a Bruxelles, e con le polemiche per i rapporti tra Salvini e la Russia ancora fresche, sarebbe stato proprio l’attuale ministro dello Sviluppo Economico a diventare, nel giro di pochi mesi, il volto internazionale del partito. E questo il segretario del Carroccio non poteva permetterlo, per nessuna ragione al mondo. Una sfida che prosegue ancora oggi.
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