Sono mesi, forse anni, che si discute del fatto se i parlamentari di questa legislatura riusciranno a mettersi in tasca il vitalizio. Assegno che viene corrisposto per tutta la vita dallo Stato agli ex deputati e senatori dopo quattro anni, sei mesi e un giorno dall’inizio della legislatura. La data del 25 settembre, scelta per le prossime elezioni politiche anticipate dopo la caduta del governo Draghi, non assicurerebbe teoricamente il vitalizio agli onorevoli. Ma nel conto non valgono le date dello scioglimento delle Camere (il 21 luglio) e quella delle elezioni, ma soltanto quella di insediamento delle nuove Camere.
Il vitalizio dei parlamentari sembra dunque salvo. Secondo le male lingue, per questo motivo il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte avrebbe deciso di strappare con Draghi proprio in questo momento. Molti dei suoi rappresentanti, infatti, rischiano di non essere rieletti in Parlamento e, quindi, di non riuscire a completare l’iter per beccarsi la pensioncina a vita. Lo stesso discorso però vale per tutti gli altri fuoriusciti dal Movimento di Beppe Grillo, come il folto gruppo dei seguaci di Luigi Di Maio. Ma anche gli altri partiti vivono lo stesso problema.
La Costituzione, al secondo comma dell’articolo 61, afferma che “finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti”. E, infatti, già si discute dei poteri che potrà esercitare il governo uscente negli affari correnti. E della possibilità per i due rami del Parlamento di convertire decreti urgenti emanati dall’esecutivo, anche se solo su alcune materie ben delineate come l’economia o la politica estera.
Insomma, il sospetto è che Mario Draghi sia stato fatto cadere proprio adesso perché sarebbe caduta la pregiudiziale del vitalizio. Chi ne aveva il diritto ormai ce lo ha già in tasca, anche se comincerà a percepirlo al compimento del 65esimo anno di età. Con buona pace di chi voleva eliminarlo definitivamente.
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