Erika ed Emanuele Guarini, 19 e 23 anni, sono due fratelli di Pistoia dagli sguardi e dai destini intrecciati. Affetti entrambi da talassemia, i due giovani sono stati i primi pazienti in Italia a sottoporsi, tra novembre 2020 e agosto 2021, a una tecnica sperimentale di autotrapianto del midollo. “Dovevamo fare trasfusioni ogni due o tre settimane, hanno ricordato Erika ed Emanuele -. Ora siamo tornati a una vita normale”. Quel gene difettoso li ha fatti vivere con la talassemia fino a novembre dell’anno scorso (lui) e agosto di quest’anno (lei). Poi una tecnica sperimentale al Bambino Gesù di Roma ha corretto il gene sbagliato e li ha fatti guarire con un autotrapianto di midollo. A guidare la vincente équipe del Bambino Gesù di Roma è stato il dottor Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Oncoematologia e terapia cellulare e genica del Bambino Gesù di Roma e portavoce del Comitato tecnico scientifico per il Covid, ora tornato in corsia: “Si tratta di correggere il Dna con grande precisione e senza i sia pur rari effetti collaterali della tecnica precedente, la gene therapy”, ha spiegato Locatelli riferendosi alla nuova terapia a cui si sono sottoposti i due fratelli. Il metodo è stato elaborato dalla francese Emmanuelle Charpentier e dall’americana Jennifer Doudna e, lo scorso anno, è valso alle due biochimiche il Premio Nobel per la Chimica.
Prima della cura, la vita di Erika ed Emanuele si alternava tra una trasfusione di sangue e l’altra, precisamente ogni 20 giorni lui e ogni 15 giorni lei. “Le mie amiche camminavano per andare a scuola e io ero costretta a fermarmi perché sempre stanca”, ha ricordato Erika in un intervista a Repubblica. Emanuele invece, amante del calcetto, cercava in ogni modo di inseguire gli avversari. “Non volevo che gli altri se ne accorgessero. Se mi chiedevano il perché di tante assenze, inventavo una scusa”. Anche i racconti di mamma Rosa hanno evidenziato una “non vita” per i fratelli Guarini: “Medicine di continuo, fin da piccolissimi. Mescolate al succo o al latte. Non sapevo più cosa inventarmi”, ha rievocato mamma Rosa che ha proseguito “Vivevo con il senso di colpa per avergli trasmesso quel gene sbagliato, anziché dargli il meglio come tutti i genitori vorrebbero fare ”. Poi è arrivata la chiamata del dottor Mattia Algeri, che ha annunciato che c’era posto per i suoi figli nella sperimentazione, dopo cinque anni d’attesa. I primi esami dopo l’intervento sono però andati bene e ora Erika ed Emanuele, che si sono dati coraggio a vicenda, possono finalmente tornare a vivere ma questa volta come due ragazzi della loro età.
L’editing genetico prevede l’uso di Crispr e funziona come una sorta di “taglia e incolla” del Dna, senza i vettori virali previsti dalla gene therapy. Il Bambino Gesù di Roma è stata la prima struttura a importarlo in Italia per la cura di talassemia e anemia falciforme. Finora sono stati eseguiti 10 trattamenti, sui 13 previsti per i pazienti arruolati nella prima fase della sperimentazione promossa dalle aziende Vertex Pharmaceuticals e Crispr Therapeutics. “Quel che realizziamo è in pratica un ritorno all’infanzia – ha chiarito Locatelli – Dopo la nascita, un gene chiamato BCL11A disattiva la forma di emoglobina chiamata fetale, che normalmente quando nasciamo viene sostituita da altre due forme. Noi, inattivando questo gene, riusciamo a ripristinare la produzione di emoglobina fetale, di fatto correggendo la talassemia”.
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