L’esplosione nucleare è una delle grandi paure dell’umanità. Un timore tornato a far capolino nelle nostre vite negli ultimi anni, quando Paesi come la Corea del Nord o l’Iran hanno iniziato a pensare al deterrente nucleare come strumento di politica internazionale.
Entrambi sono finiti in una sorta di blacklist redatta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e sanzionati per aver puntato ad entrare in un club ristretto di Paesi che hanno già provveduto a dotarsi della bomba atomica. La conseguenza di tutto ciò è stato il ritorno ad uno stato di tensione che sembrava un ricordo legato ad altre epoche.
Cosa fare in caso di attacco nucleare?
Se nel corso della Guerra Fredda, il governo statunitense aveva elaborato un decalogo in cui, ad esempio, consigliava agli studenti di accucciarsi sotto il loro banco nel caso di un’esplosione nucleare, nel 2014 ha destato un certo scalpore il consiglio dato da uno scienziato, il quale ha invece raccomandato di reagire ad un attacco nucleare uscendo dalla propria abitazione, in modo da poter cercare un rifugio alternativo in grado di proteggere meglio. Il suo articolo ha destato grandi proteste da addetti ai lavori ed esperti, trattandosi in effetti dell’esatto contrario di quanto si è sempre creduto.
Va infatti ricordato come FEMA (acronimo di Federal Emergency Management Agency), l’agenzia federale che svolge funzioni di protezione civile negli Stati Uniti, consigli a sua volta di trovare riparo in una struttura il più possibile vicina e riparata, come potrebbe essere una rimessa, uno scantinato o una galleria. In tal modo sarebbe possibile una drastica riduzione degli effetti derivanti dall’esposizione alle radiazioni, sino a dieci volte.
Cosa fare ove non si abbia un luogo riparato adeguatamente?
Il problema consiste nel fatto che non tutti hanno a disposizione uno scantinato nella propria abitazione. In questo caso e ove la casa non possa garantire un elevato livello di protezione, la cosa migliore è correre alla ricerca di un rifugio, a patto che esso sia abbastanza vicino. In pratica, quindi, meglio sottoporsi ad una dose bilanciata di radiazioni correndo all’aperto per un massimo di cinque minuti, che rimanere in una casa non dotata di protezioni, ove il livello di esposizione sarebbe molto più elevato.
Va peraltro ricordato che se invece la distanza supera i cinque minuti, è meglio rimanere al chiuso, in quanto l’intensità delle radiazioni è destinata a diminuire col trascorrere del tempo.
La risposta di Hawaii e California
Considerato che l’ipotesi di un attacco nucleare è tornata ad agitare i sonni dei cittadini statunitensi, dopo gli esperimenti nord-coreani, in alcune parti del Paese si iniziano però a prendere precauzioni contro la possibilità di un’esplosione nucleare.
Le isole Hawaii hanno deciso di lanciare una campagna informativa tesa a mettere al corrente i cittadini su cosa fare nell’ipotesi di un attacco atomico, per mezzo di un vademecum che spiega come reagire. In particolare, in caso di emergenza chi si trovi in un ambiente chiuso dovrebbe allontanarsi dalle finestre, mentre chi si trovasse malauguratamente all’aperto dovrebbe rifugiarsi subito in un edificio, meglio se costruito in calcestruzzo.
Anche la California si è a sua volta attivata, prendendo esempio dal Giappone, ovvero ricorrendo all’acquisto di rifugi antiatomici. A testimoniare cosa sta accadendo è la Rising S Company, una compagnia attiva nella fornitura di rifugi di questo genere, che vede ormai arrivare la gran parte delle chiamate dallo stato della West Coast. Il massimo disponibile in tal senso è l’Aristocrat, una struttura che può contenere sino a 44 persone, disponibile alla modica cifra di 8 milioni di dollari.