Scontro aperto sulla tassa sugli extraprofitti delle banche tra la Banca centrale europea (Bce) e l’Italia rappresentata dal governo Meloni. Dopo avere analizzato la proposta elaborata ad agosto dal governo italiano, “la Bce raccomanda che, al fine di valutare se la sua applicazione pone dei rischi per la stabilità finanziaria, e in particolare se ha il potenziale di compromettere la capacità di tenuta del settore bancario e di causare distorsioni del mercato, il decreto-legge sia accompagnato da un’analisi approfondita delle potenziali conseguenze negative per il settore bancario”.
La Bce si dimostra molto preoccupata dalla decisione dell’Italia e sottolinea come “tale analisi dovrebbe illustrare in dettaglio in particolare, l’impatto specifico dell’imposta straordinaria sulla redditività a più lungo termine e sulla base patrimoniale, sull’accesso ai finanziamenti e sulla concessione di nuovi prestiti e sulle condizioni di concorrenza sul mercato, e il suo potenziale impatto sulla liquidità”.
La Bce piccona l’Italia perché “il decreto-legge che definisce l’imposta straordinaria non è accompagnato da alcuna relazione illustrativa che ne spieghi la ratio. Inoltre, la documentazione tecnica inviata al Senato della Repubblica italiana in relazione al decreto-legge contiene una sintesi delle principali disposizioni legislative, ma non contiene alcuna spiegazione dalla ratio alla base del decreto-legge”.
La tassa sugli extraprofitti delle banche, continua la Bce, “può portare a una frammentazione del sistema finanziario europeo a causa della natura eterogenea di tali imposte per il settore bancario. Il rischio di una doppia imposizione per gli enti creditizi che operano anche attraverso succursali in altre giurisdizioni in cui si riscuote ugualmente un’imposta straordinaria può rappresentare un’ulteriore fonte di tale frammentazione. L’imposta straordinaria può rendere più costoso per le banche attrarre nuovo capitale azionario e finanziamento all’ingrosso, in quanto gli investitori nazionali ed esteri potrebbero avere meno interesse a investire in enti creditizi italiani che hanno prospettive più incerte”.
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