La Commissione Europea ha definitivamente rigettato il documento programmatico di bilancio del governo italiano per il 2019. Lo si apprende al termine della riunione del collegio dei commissari. L’esecutivo comunitario ha anche adottato il rapporto sul debito, aprendo così la strada a una procedura per deficit eccessivo nelle prossime settimane. Colpa del deficit al 2,4% e, soprattutto, del debito intorno al 130% del Pil. Un segnale autorevole è arrivato ieri dal presidente portoghese dell’Eurogruppo dei 19 ministri finanziari della zona euro, Mario Centeno, che ha cercato di mediare un compromesso Bruxelles-Roma e ieri ha giudicato insufficienti le correzioni apportate su richiesta dei commissari Ue.
La Manovra, rileva la valutazione adottata oggi, prevede “un non rispetto particolarmente grave delle regole di bilancio, in particolare delle raccomandazioni dell’Ecofin dello scorso 13 luglio”. Per il momento, dalla sponda M5s di Palazzo Chigi filtra all’Ansa la volontà di non modificare la manovra, ma offrire una dettagliata spiegazione degli obiettivi e dei parametri contenuti nella legge di Bilancio. Il premier Giuseppe Conte esporrà questi dettagli al presidente dell’esecutivo Ue, Jean-Claude Juncker, nell’incontro previsto per sabato.
Il ministro dell’Economia Giovanni Tria può continuare a trattare un compromesso. Ma il clima tra Roma e Bruxelles appare teso. Tria ha accusato commissari e ministri di essere ostili al governo M5S-Lega (aridaje!) in quanto condizionati dalle campagne elettorali nazionali per le europee di maggio. Le ultime previsioni economiche sull’Italia della Commissione le ha definite “défaillance tecnica”. In più queste stime su crescita, debito e deficit – su cui si basano le opinioni dei commissari sulla manovra – risultano quasi sempre sbagliate da molti anni.
Giuseppe Conte, premier dichiaratamente populista, sa che non può permettersi di tenere troppo alta la tensione con le istituzioni di Bruxelles; e che la procedura di infrazione in arrivo può fare più danni all’Italia che all’Unione. Anzi, ne sta già facendo, con lo spread stabilmente sopra i 300 punti, e i titoli di Stato italiani sottoscritti all’ultima asta col contagocce. Per questo M5S e Lega stanno discretamente analizzando i pro e i contro di elezioni politiche anticipate.
Discutono di una riforma elettorale che permetta di governare avendo solo il 40 per cento, e di un Fondo Patrimoniale dove far confluire e mettere in vendita gli immobili dello Stato, qualora la situazione del debito pubblico precipitasse. Fanno perfino piani per il Quirinale, sognando un’elezione diretta del capo dello Stato e un “esecutore” come Conte al posto di Sergio Mattarella. Ma al di là di questi scenari futuribili e delle battute sarcastiche delle ultime settimane dei vicepremier del M5S, Luigi Di Maio, e della Lega, Matteo Salvini, ora l’Europa fa paura.
Il governo di Roma ha capito che il suo splendido isolamento sta diventando pericoloso. Molte delle nazioni alleate sono decise a togliere qualunque margine di manovra all’Italia della “spesa creativa”. E a Conte toccherà il compito ingrato di ammorbidire l’ostilità e la diffidenza nei confronti della maggioranza. “Finora abbiamo tenuto duro per dimostrare che la nostra manovra può funzionare”, spiegano a Palazzo Chigi. “Ma se lo spread continua a lievitare, siamo pronti a prendere misure straordinarie per abbattere il debito”. È questo a far rispuntare l’idea del “Fondo patrimoniale degli italiani”.
Se ne trova un’eco nell’accenno del ministro grillino per i rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, quando assicura all’Europa: “Siamo pronti a mettere in campo un piano di dismissione degli immobili”. Ma sono ipotesi dai contorni anche costituzionalmente controversi. Per uscire dal vicolo cieco, M5S e Lega pensano perfino al ritorno alle urne: il primo con timore, la seconda con una miscela di dubbi e speranza. Sanno che sarà difficile ottenerle.
Sono consapevoli che il Quirinale farà il possibile per non spezzare la legislatura dopo un anno. In più, dovrebbero essere d’accordo. La Lega dovrebbe fare campagna elettorale contro un “contraente” incattivito, e forse guidato non più da Di Maio ma dal “sudamericano” Alessandro Di Battista o da Roberto Fico, presidente della Camera. Salvini non potrebbe che ricadere nelle braccia del centrodestra, quasi dovesse tornare all’ovile di Berlusconi.
L’idea di andare a casa, per circa la metà degli eletti nelle file dei Cinque Stelle, provocherebbe una rivolta contro Di Maio. Dunque, in qualche modo i due contraenti sono costretti a andare avanti, ma le Europee di maggio sono un traguardo lontano, che si vorrebbe ravvicinare. Permetterebbero di capire quanto la Lega sta crescendo, e quanto il M5S sta perdendo. Ecco perché affiora la voglia di approvare una legge elettorale che permetta di governare da soli avendo il 40 per cento; e di abbozzare una riforma costituzionale che preveda l’elezione diretta del capo dello Stato. Ma il “dittatore” era Renzi secondo questi geni…
Per quanto i ministri esorcizzino la prospettiva di un Paese in recessione, e neghino qualunque volontà di uscire dalla moneta unica, in questi ultimi mesi è stato scavato un solco profondo col resto del continente. E non sarà facile correggere in tempi brevi un’immagine di sicumera e dilettantismo, che ha fatto felici i nostri avversari.
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