“Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e, quindi, ho dovuto venire qui da sola”. Il commiato di Elena, 69 anni, in un videomessaggio. La donna aveva ricevuto la diagnosi di microcitoma polmonare a inizio luglio 2021. Dopo alcuni tentativi, le è stato comunicato che c’erano pochi mesi di vita e soprattutto grande sofferenza. La donna ha così contattato l’associazione Luca Coscioni per chiedere assistenza e andare a Basile per il suicidio assistito.
Ad accompagnarla, Marco Cappato, che ha poi compiuto il suo atto politico: l’autodenuncia, come per il caso di Dj Fabo. “Voglio ringraziare il marito e la figlia di Elena per la fiducia e la vicinanza di queste ore. Dirò ai carabinieri che sono pronto a rifarlo, perché senza il mio aiuto Elena non sarebbe potuta giungere in Svizzera e aggiungerò che aiuteremo anche le altre persone nelle sue stesse condizioni che ce lo chiederanno. C’è una discriminazione insopportabile tra malati che sono attaccati alla macchine e quelli che non lo sono”.
Il caso di Elena non rientra tra quelli che la Corte Costituzionale riconosce in merito al suicidio medicalmente assistito. La donna non era tenuta “in vita da trattamenti di sostegno vitale”, uno dei quattro requisiti previsti dalla Consulta nel 2019 pronunciandosi sul caso Cappato-Dj Fabo.
Proprio riguarda a quel caso ormai di scuola, Cappato conclude: “Con Fabo è stata aperta una strada che riguarda migliaia di persone. Il nostro obbiettivo non è lo scontro o il vittimismo o il martirio. Siamo qui con la speranza che le aule di Tribunale possano riconoscere un diritto fondamentale, sapendo che c’è anche la possibilità del carcere”.