La disinformazione è sempre esistita, nei vecchi e nuovi media. Ma è con la diffusione delle nuove tecnologie di comunicazione – smartphone in primis – e l’esigenza di un flusso continuo di notizie che il fenomeno delle bufale sul web ha raggiunto nuovi livelli di importanza. Ogni giorno l’utente di internet si imbatte in un’enorme quantità di fonti di informazione, siano esse giornali online, blog o post sui social.
Leggiamo sempre più notizie in modo sempre meno approfondito, ed è proprio questa mancanza di attenzione a permettere alle fake news di proliferare. Il problema delle cosiddette notizie false è ben noto, eppure non sembriamo più vicini a risolverlo. I social media sono una delle principali fonti di queste falsità. Twitter, in particolare, è responsabile di gran parte della loro diffusione, quindi non aiuta che i dirigenti della piattaforma abbiano recentemente abbandonato la palla, per così dire, sull’intera questione.
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Cosa sono le Fake News?
Le Fake News sono notizie false diffuse appositamente sul web e mediante i social media. Rappresentano uno dei fenomeni più preoccupanti per l’informazione e destabilizzante per l’influenza delle opinioni.
Gli italiani si informano prevalentemente su Internet, secondo una ricerca dell’Osservatorio News-Italia dal titolo Le fake news sono un problema, il 70% dichiara di informarsi su internet e di questi il 34% mediante Facebook e Twitter. Secondo questo studio, fra chi usa internet, il 53% dichiara di incontrare in rete spesso notizie parzialmente o completamente false.
Perché le fake news si diffondono così facilmente
Ora, i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) stanno dando un’occhiata al problema in uno dei più grandi studi fino ad oggi. Le loro scoperte suggeriscono che gli umani – non i robot – sono in gran parte da biasimare.
Per il loro studio, apparso sul numero di marzo 2018 della rivista Science , il team del MIT ha cercato di dare un senso a come e perché le notizie false e la disinformazione si diffondono velocemente via Twitter. Nello specifico, hanno studiato il modo in cui i meccanismi di Twitter, unitamente alle peculiarità del comportamento umano sui social media, facilitano la diffusione di notizie false.
Per il loro studio, il team ha esaminato un campione di circa 126.000 bit di “notizie” tweettate da 3 milioni di persone in più di 4,5 milioni di volte tra il 2006 e il 2017. “Definiamo le notizie come qualsiasi storia con un’affermazione in esso e una voce come il fenomeno sociale di una notizia o di un’affermazione che si diffonde attraverso la rete di Twitter”, hanno scritto nello studio.
“Cioè, le voci sono intrinsecamente sociali e implicano la condivisione di rivendicazioni tra persone. Le notizie, d’altra parte, sono un’asserzione con affermazioni, sia che siano condivise o meno”. Successivamente, i ricercatori hanno suddiviso le notizie in due categorie: false e true. Per fare ciò, hanno utilizzato sei organizzazioni indipendenti per il controllo dei fatti, le cui classificazioni hanno mostrato un forte accordo.
Fake news o true news?
Di conseguenza, le notizie false viaggiano più velocemente, più lontano e più in profondità attraverso il social network rispetto alle notizie vere. I ricercatori, del MIT, hanno scoperto che quei modelli si applicavano a tutti i soggetti che hanno studiato, non solo alla politica e alle leggende metropolitane, ma anche agli affari, alla scienza e alla tecnologia.
Le false affermazioni erano il 70% più probabili della verità da condividere su Twitter. Le notizie false “politiche” si sono diffuse tre volte più velocemente rispetto ad altri tipi, e il primo 1% delle notizie false ritwittate si è diffuso regolarmente ad almeno 1.000 persone e talvolta fino a 100.000. Le vere notizie, d’altra parte, non hanno quasi mai raggiunto più di 1.000 persone.
I ricercatori hanno anche trovato una connessione tra la “novità” di un po’ di notizie e la probabilità che un utente di Twitter lo abbia ritwittato. In uno studio condotto su 5.000 utenti, hanno esaminato un campione casuale di tweets che ciascun utente potrebbe aver visto nei 60 giorni precedenti il retweeting di una voce. Secondo la loro analisi, le notizie false erano più nuove di quelle vere, e gli utenti erano molto più propensi a retwittare un tweet che fosse “misurabilmente più nuovo”.
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Cosa ci spinge a prendere per vere le notizie false?
Ma se siamo in grado di riconoscere fonti e informazioni inaffidabili, cosa ci spinge a prenderle per vere? Una risposta ci viene da quelle che in sociologia dei mass media sono definite teoria dell’influenza selettiva e Two-step flow theory. La prima afferma che attenzione, percezione e memorizzazione di un soggetto non sono equipartite fra i messaggi a cui è esposto. In altre parole, differenze cognitive, diversi interessi e soprattutto convinzioni pregresse di un individuo non determinano solo l’opinione che si farà su un certo argomento, ma il modo stesso in cui il suo cervello recepirà il messaggio: una sola frase concorde con un nostro pregiudizio sarà meglio memorizzata e avrà per noi più valore rispetto a intere pagine di precisa argomentazione di una firma autorevole.
Al contrario, un messaggio di propaganda sarà in grado di influenzarci solo in parte o se riguarda un tema di cui non sappiamo nulla. Quanto maggiori saranno le esperienze personali o le convinzioni precedenti, tanto più rigetteremo il nuovo pezzo di informazione, a prescindere dalla fondatezza sia della notizia, sia dei pregiudizi. Anzi, il meccanismo difensivo di giustificazione contro la minaccia di un’opinione discorde porterà a rafforzare l’idea preesistente: un convinto sostenitore di un politico corrotto aumenterà la sua fedeltà di fronte ad articoli che ne rivelino gli scandali, poiché li percepirà come tentativi dell’opposizione di screditarlo.
La teoria del two-step flow of communication è una sorta di evoluzione dell’influenza selettiva. All’importanza dei pregiudizi aggiunge quella dell’opinione del gatekeeper, o opinion leader, una persona considerata affidabile e tenuta in grande considerazione, che svolge una funzione da intermediario nei messaggi mediatici. Si tratta di solito di un influencer, ma può anche essere un familiare, un amico, un blogger, un certo giornalista o politico e via dicendo. L’opinion leader è il primo di un gruppo sociale a essere raggiunto dai media, e ne diffonde i contenuti al resto della massa.
Una notizia, anche falsa, diffusa attraverso un gatekeeper assume per l’individuo garanzia di verità semplicemente grazie al legame di fiducia. È in questo modo che il passaparola può convincere intere masse di persone: il rapporto emotivo con chi ci sta trasmettendo notizie false le rende immediatamente affidabili. In gruppi stretti di persone, come nuclei familiari e compagnie di amici, le opinioni saranno sempre almeno in parte simili proprio grazie all’influenza reciproca che si esercita sugli altri.
Cosa si può fare?
I ricercatori del MIT hanno detto che capire come si diffondono le notizie false è un primo passo verso la sua risoluzione. Hanno concluso che il comportamento umano gioca un ruolo importante nello spiegare il fenomeno e menziona possibili interventi, come una migliore etichettatura, per alterare il comportamento.
Anche la risposta emotiva generata da un tweet ha avuto un ruolo nel coinvolgimento degli utenti. Le notizie false hanno generato risposte che mostrano paura, disgusto e sorpresa. Le vere notizie hanno ispirato l’anticipazione, la tristezza, la gioia e la fiducia. Queste emozioni potrebbero avere un ruolo nella decisione di una persona di ritwitare una notizia.
La diffusione della disinformazione non è dovuta ai bot, Vosoughi e il suo team hanno utilizzato un algoritmo per rimuovere tutti i robot prima di condurre la loro analisi. Quando hanno preso in considerazione i robot nello studio, i ricercatori hanno scoperto che i robot non distinguevano tra notizie false e verità.
“Contrariamente alla saggezza convenzionale, i robot hanno accelerato la diffusione di notizie vere e false allo stesso ritmo, sottintendendo che le notizie false si diffondono più della verità perché gli umani, non i robot, hanno maggiori probabilità di diffonderlo”, hanno scritto nello studio.
Benché siano noti i meccanismi con cui si diffondono, le bufale del web restano una minaccia difficile da contrastare per la natura stessa di internet, in cui la libertà di espressione permette a chiunque di fare newsmaking, a prescindere dalle buone o cattive intenzioni. Ai tentativi di tenere sotto controllo l’affidabilità delle notizie si stanno affiancando nuovi mezzi di sensibilizzazione dei lettori online per una navigazione responsabile. Ma la differenza saranno solo gli utenti a farla, se svilupperanno le capacità critiche per identificare ed evitare le notizie false in cui si imbattono ogni giorno. E porre fine alla spirale della disinformazione.
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