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Come essere felici a lavoro, esercizi e responsabilità del cervello

Il 4 luglio del 1776 il diritto alla felicità venne sancito dalla Costituzione americana: i padri fondatori scrissero nero su bianco che «a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà, e al perseguimento della felicità».

In America il diritto ad essere felici è legge prima ancora di essere un’attitudine. Ma l’ostinazione che ci rende alla continua ricerca di quella pace interiore non è certo facile da conquistare. Ce l’abbiamo scritta nel Dna eppure fatichiamo a raggiungerla pur essendone ossessionati: perché?

A quanto pare è un problema che riguarda le neuroscienze e il loro funzionamento cerebrale.

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Come funziona il nostro cervello

Il nostro cervello non è fatto per essere proiettato verso una felicità duratura. Ma le neuroscienze possono servire a superare numerosi pregiudizi nascosti nel nostro intelletto e trovare finalmente la felicità autentica, tanto agognata.

La vita contemporanea non lascia molto spazio all’espressione: la quotidianità scivola via attraverso ansia, depressione, insoddisfazione, vuoto esistenziale. É dura da ammettere, ma siamo l’opposto che felici.

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Soprattutto in ambito professionale, nel quale le tecnologie emergenti e i mercati sempre più competitivi mettono a dura prova le prestazioni dei dipendenti e dell’organizzazione aziendale.

Studi recenti hanno rilevato che il 16 % degli impiegati intervistati ritengono che il lavoro sia la fonte principale di ansia, depressione e numerosi altri sintomi che interessano la salute mentale.

La propensione a cercare la felicità fa parte della nostra natura umana, per questo crediamo che  le decisioni che prendiamo quotidianamente facciano bene al nostro benessere. In realtà, miriamo all’obiettivo sbagliato.

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Le motivazioni: estrensiche o intrinseche

In aiuto arrivano psicologia e neuroscienze. Negli ultimi decenni i nostri cervelli non si sono preoccupati di raggiungere il benessere personale, ma solo una forma fisica performante per sopravvivere a malattie e inquinamento. La spinta alla sopravvivenza è però risultata antitetica alla ricerca della felicità. La risposta è nel nostro cervello, è lì che si perde la motivazione. Con una metafora possiamo capire meglio ciò che succede: se le nostre decisioni e le nostre azioni rappresentano l’automobile su cui viaggiamo, sono le motivazioni la benzina che ci fa andare avanti.

Il cervello evoluto nell’era tecnologica mette in atto il gioco della sopravvivenza usando il carburante della cosiddetta “motivazione estrinseca”. Ci induce cioè a pensare che vogliamo cose che hanno un maggiore valore estrinseco, piuttosto che intrinseco, ovvero ci fa desiderare cose sbagliate, che non contribuiscono a renderci pienamente felici, questo perché la motivazione estrinseca ci fa fare cose per ricevere un risultato che è e resta al di fuori di noi stessi. Infatti il nostro cervello funziona così: riceve un colpo di dopamina ogni volta che viene consegnato un premio estrinseco. Ma queste esperienze risultano fugaci perché l’attivazione dopaminergica si riduce molto rapidamente nel cervello. Il nostro, lo abbiamo già ribadito, è un cervello evoluto, che desidera di più perché tende a non sentirsi mai completamente felice nella situazione attuale.

La motivazione intrinseca però è una fonte di combustibile più duratura poiché riesce a guidare i nostri comportamenti con interessi interni a noi stessi, e nonostante siano immateriali e di natura più astratta, ovvero qualcosa che al cervello non piace poi così tanto, queste motivazioni sono necessarie per la felicità e il benessere sostenibili nel mondo moderno.

A quanto pare è la motivazione estrinseca che ostacola la felicità. Un altro studio ha rilevato come certi processi sul posto di lavoro sono mezzi efficaci per ottenere il meglio da una persona.

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Due esercizi utili

Esistono dunque due correzioni che possiamo fare per trovare la giusta motivazione ed essere veramente felici.

Il primo è quello di elaborare un progetto e sezionare i comportamenti quotidiani, per esempio le decisioni, i comportamenti e esplicitare accanto le motivazioni, sottolineando se sono esterne o interne. Guardando poi in quale categoria ricade la maggioranza di esse bisogna lavorare in modo da modificare i comportamenti sbagliati e alzare pian piano i livelli di felicità.

Il secondo esercizio utile è quello di osservare la motivazione del lavoro di leadership o manageriale: come assegniamo i compiti ai dipendenti? Lasciamo davvero che ognuno si esprime secondo la propria predisposizione?

Quindi fare e gestire cose attraverso una motivazione seria e tranquilla, che ci stimola verso decisioni coerenti con le nostre motivazioni sembra essere la ricetta perfetta per raggiungere una felicità duratura.
 

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