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Gheddafi junior chiede aiuto all’Italia: vuole tornare sul trono per riunificare la Libia

“Non sono morto, come falsamente asserisce qualcuno”. Il messaggio del principale erede politico di Muammar Gheddafi, Saif al Islam, arriva forte e chiaro. “E neppure mi ritiro nella clandestinità e la fuga. Tutt’altro. Noi Gheddafi siamo stati estromessi ingiustamente dall’intervento militare della Nato e da forze illegali, che se non fosse stato per i raid stranieri avremmo facilmente battuto. Ma so che larga parte dei libici non ci hanno dimenticato. Oggi sento che gran parte del Paese sta con noi e ricorda con nostalgia l’ordine e le riforme, specie del primo decennio del nuovo millennio”.

Lo ha fatto sapere tramite il team di suoi consiglieri politici e ufficiali del vecchio regime impegnati a Roma dove cercano di riprendere contatti e proporre soluzioni nella convinzione che proprio l’Italia potrebbe dare una mano a riportare Gheddafi sul “trono” per fare da mediatore per la riconciliazione della Libia.

“Saif al Islam intende partecipare al Forum nazionale libico che l’inviato dell’Onu Ghassam Salam intende organizzare già per gennaio prossimo. Una grande assemblea di riconciliazione mirata a preparare le elezioni politiche, che dovrebbero aver luogo entro la primavera del 2019. È un cittadino libico, dal 2011 non ha mai abbandonato il nostro Paese. Ha ogni diritto di concorrere per forgiarne il futuro”. In contemporanea sono stati intavolati canali di comunicazione con i vertici europei a Bruxelles e con le Nazioni Unite.

Per la prima volta dalla sua cattura nel novembre di sette anni fa da parte delle milizie di Zintan, in pieno deserto presso il confine col Niger, il figlio più “politico” del Colonnello parla con la stampa occidentale. Parla attraverso i suoi uomini di fiducia, un nutrito gruppo di fuoriusciti, tutti reduci di traversie avventurose dopo la caduta del regime, che ora vivono appartati in varie località europee e del Medio Oriente. Saif è rimasto a vivere segretamente in una zona appartata attorno a Zintan.

C’è un evidente problema sicurezza. Saif è attento. Nel 2016 i giudici del tribunale di Zintan lo hanno liberato sulla base della legge di amnistia, però deve muoversi con cautela. Occorre lavorare anche per cancellare la delibera del Tribunale internazionale dell’ Aja, che nel giugno del 2011 promulgò un mandato di cattura nei suoi confronti per crimini contro l’ umanità. “Era una accusa ingiusta, Saif aveva poco a che fare con le battaglie in corso, era invece un modo per fare pressione sul regime. La cancellazione del mandato di cattura internazionale non sembra impossibile”.Ma il cuore del suo messaggio resta quello di riavviare il dialogo nazionale tra tutte le componenti della società libica. A loro dire il Forum tra libici in preparazione sotto l’egida delle Nazioni Unite potrebbe tenersi per esempio a Gadames, la città-oasi nella Libia occidentale presso il confine con Algeria e Tunisia. “Il posto è molto importante, un tema delicato. Occorre un luogo neutrale per evitare frizioni ulteriori o pretesti per non partecipare”, dicono. “Riunirsi a Tripoli potrebbe costituire un problema per Khalifa Haftar e i leader delle regioni orientali”.

“E lo stesso sarebbe per Bengasi o Tobruk, dove quelli delle regioni occidentali potrebbero sentirsi in pericolo. Meglio dunque una località nel deserto, dove sarebbe più facile garantire il controllo e gli accessi”. Appare scontato che il successore di Gheddafi intenda così preparare il terreno per la sua candidatura alle elezioni e diventare parte integrante della “riconciliazione nazionale” per uscire finalmente dal caos di una guerra mai davvero terminata. Ma è solo questo? O in testa punta a un regime-bis?

 

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