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Filippo Turetta, la richiesta: “Fatemi vedere i miei genitori”

Filippo Turetta carcere Montorio

Il carcere di Montorio, situato a nord di Verona, con una capacità di 350 posti ma una presenza di 500 detenuti, si è trovato al centro dell’attenzione quando le porte si sono spalancate per accogliere un nuovo detenutoFilippo Turetta. Il 22enne, rientrato in Italia su un volo dell’Aeronautica militare, è accusato di un omicidio che ha scosso la comunità: quello dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin.
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L’arrivo di Turetta è segnato dalle urla di ventina di persone che si è data appuntamento, nel primo pomeriggio, all’esterno del carcere di Montorio, a Verona, per attendere l’arrivo delle auto che hanno scortato Filippo Turetta dall’aeroporto di Venezia alla struttura detentiva. Al passaggio delle due vetture dei carabinieri, all’indirizzo del giovane, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin, la 22enne ex fidanzata, molti hanno gridato offese pesanti e «auguri» irripetibili.  

E poi il silenzio pesante, un misto di rassegnazione e di shock per il cambiamento drastico della sua realtà. Gli occhi di chi lo guarda trasmettono il peso del suo gesto, mentre lui, nonostante non versi lacrime, sembra cercare un qualche conforto nella possibilità di un incontro con i genitori, una richiesta che ripete con insistenza: “Quando posso vederli”, ha chiesto come se non si rendesse conto della sofferenza che ha inferto anche alla sua famiglia. Come se fosse scontato che suo padre Nicola non vedesse l’ora di riabbracciare il bravo ragazzo trasformato in mostro.

Vedere i genitori, le ragioni profonde

Nel contesto tragico di un crimine commesso da un giovane adulto, emerge spesso un dettaglio comportamentale che suscita domande e riflessioni: la richiesta immediata di incontrare i propri genitori. Il legame con i genitori, per molti, è sinonimo di sicurezza e conforto. Quando un figlio di 21 anni commette un atto irreversibile come l’omicidio dell’ex partner, il bisogno istintivo di rivolgersi a queste figure per sostegno emotivo può essere una reazione naturale. In un momento di estremo disorientamento e shock, la presenza rassicurante dei genitori può offrire un senso di protezione e comprensione che altrimenti mancherebbe.

Dopo aver compiuto un passo così drastico, il giovane può sentirsi completamente smarrito. In questo stato di confusione, i genitori sono spesso visti come una bussola morale, capaci di fornire guida e consigli. Questa ricerca di direzione può essere particolarmente intensa in un individuo che si trova di fronte alle gravi conseguenze dei propri atti.

Il senso di colpa e la ricerca di redenzione possono essere potenti motivatori. Affrontare i genitori dopo aver compiuto un crimine può rappresentare un primo passo verso l’accettazione delle proprie azioni e il desiderio di iniziare un percorso di pentimento. Chiedere perdono ai propri genitori può essere un modo per riconoscere l’entità del danno causato e l’impatto emotivo sulla propria famiglia.

La paura delle conseguenze legali e del futuro incerto può spingere un individuo a cercare il conforto dei genitori. Questa vulnerabilità esacerbata dall’isolamento di un arresto potrebbe rendere il desiderio di contatto con le figure genitoriali ancora più urgente. Infine, il confronto con i genitori può costringere il giovane a fare i conti con la realtà delle proprie azioni. Questo incontro può segnare l’inizio di un importante processo di elaborazione del rimorso e della consapevolezza della gravità del proprio comportamento.

La routine carceraria…

Ma la routine carceraria incombe su di lui: perquisizioni, togliere lacci e qualsiasi oggetto che potrebbe rappresentare un pericolo, soprattutto per se stesso, vista la sua precedente confessione di voler porre fine alla sua vita. Gli viene offerto del cibo, ma il rifiuto porta solo un cestino con cracker e succo nella sua cella spoglia, mentre attende gli oggetti personali dai genitori.

Il suo status di detenuto a “grande sorveglianza” lo pone sotto un’attenzione costante, in una cella condivisa con un altro detenuto di egual gravità criminale, lontano dalla popolazione carceraria generale. Un’esistenza ora scandita da orari rigidi e limitazioni, compreso il cortile dove può respirare aria fresca, ma sempre da solo.

L’avvocato Giovanni Caruso descrive il suo assistito come “molto provato e disorientato”, nonostante riesca a mantenere una comunicazione accettabile e le sue condizioni di salute siano stabili. Con un interrogatorio in vista, Turetta ha di fronte a sé decisioni che potrebbero influenzare il suo futuro, in un caso che ha lasciato una comunità in lutto e in cerca di giustizia per Giulia, la cui vita è stata brutalmente interrotta a pochi passi da casa sua.
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