L’ultima indagine di settore arriva dal report annuale di “The State of European Food Tech 2018” di Five Seasons Ventures e Deal Room, che ha visto crescere con andamento costante il giro d’affari del comparto Foodtech. Il settore agroalimentare globale sta vivendo un periodo di grande innovazione e attira sempre di più l’attenzione dei fondi di investimento in cerca del prossimo unicorno. Le startup del foodtech europeo (il settore che fonde tecnologia e agroalimentare) hanno raccolto 6,5 miliardi di dollari tra il 2013 e il 2018. Il rapporto mostra che 35 unicorni tecnologici alimentari hanno creato un valore complessivo di 169 miliardi di euro a livello globale. In particolare, l’Europa si è distinta nel settore della distribuzione di alimenti, e cinque leader mondiali di consegna hanno creato 21 miliardi di euro in valore da 3 miliardi di euro di investimenti VC, negli ultimi cinque anni. In sostanza il settore è in continua crescita, ma in Europa gli investitori si stanno concentrando maggiormente sulle piattaforme per la consegna di cibo a domicilio, di cui la metà delle risorse è finita nei loro portafogli.
In questa classifica l’Italia, per volume di investimenti si piazza male, anzi malissimo: al momento le nostre startup sono riuscite ad attrarre solo l’1% dei capitali del settore. Un dato che conferma il problema trasversale della scarsità di risorse. Nel resto dell’Europa le cose vanno al quanto meglio: al primo posto vi è la Germania, grazie alla presenza di un attore forte come Delivery Hero e alla sua politica espansionistica, vale il 45%; seconda invece la Gran Bretagna, dove hanno sede Deliveroo e Just Eat, per una volta non è in testa (26%); al terzo posto la Francia, con l’8%.
Alle spalle del club dei 100 miliardi, spinge una nuova generazione di startup foodtech. Che, secondo il rapporto, hanno già raccolto miliardo nel 2018. Si tratta di società che coprono l’intera filiera: produzione (Tropic Biosciences, ecoRobotix, Infarm), trasformazione (Huel, Allplants, Mosa Meat) e soprattutto distribuzione (Glovo, Picnic, Kolonial.no). Lo studio indica quindi l’esistenza di un ecosistema europeo solido. Sia i grandi gruppi tradizionali che le (ex) startup stanno conducendo forti campagne di acquisizione. E ai venture capital generalisti che esplorano l’agroalimentare si sono affiancati investitori, incubatori e acceleratori di settore.
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