Per quindi anni ha custodito in silenzio il suo dolore, ma adesso ha detto basta: “È arrivato il momento di liberarmi del mio passato. E l’unico modo per farlo è raccontare finalmente la mia storia a viso aperto”. A parlare è Gemma, una delle “molte” ragazze abusate dal 74enne Luciano Scibilia arrestato qualche giorno fa a Santo Domingo. L’uomo è stato inserito nella lista Europol dei 19 più pericolosi sex offender ricercati in campo internazionale. Oggi Gemma ha 30 anni, vive a Londra e lavora nella polizia locale. Anche se è riuscita a ricostruirsi una vita, Gemma ha ancora ben impressi nel profondo gli abusi che ha subito quando era solo una 16enne, ma anche l’amaro lasciato in bocca dalle autorità italiane che non hanno saputo aiutarla. “Finalmente Luciano Scibilia è in carcere dove si merita di essere, ma il trattamento delle vittime da parte dello Stato deve migliorare – ha detto Gemma -. Mi porterò dietro il trattamento da parte della polizia e sistema giuridico italiano, che invece di proteggere me e le altre vittime hanno fatto completamente l’opposto”.
Luciano Scibilia faceva il bidello a Monterosi, in provincia di Viterbo, quando nel 2006 venne accusato di pedofilia da circa venti minorenni. L’uomo è stato estradato dalla Repubblica Dominicana quattro giorni fa. Era latitante da almeno due anni. Una volta in Italia è stato arrestato perché ritenuto uno dei 19 sex offenders più pericolosi e inserito nella lista di Europol. Dopo un’infanzia trascorsa a Londra, all’età di 11 anni Gemma si trasferì in Italia. “Avevo 16 anni quando conobbi Luciano Scibilia. Mi sentivo diversa, sola, isolata e non capita – ha spiegato la poliziotta a Fanpage -. Soprattutto mi mancava mio padre rimasto a Londra”. Scibilia infatti a quel tempo era il compagno della madre di due sue amiche. Pian piano l’uomo si era riuscito a guadagnare la fiducia della giovane Gemma: “Ero una ragazza molto riservata ed insicura. Luciano era una persona che si prendeva molta confidenza, baciava ed abbracciava le sue figlie e le amiche delle sue figlie senza problemi, entrava nel letto con le figlie, come fosse normale, si prendeva confidenze come fosse lo zio preferito di casa”.
Il tempo passa e Scibilia si avvicina sempre più alla giovane Gemma, fino al punto di diventare insistete anche con chiamate e messaggi. “Mi diceva anche che ero diversa dal gruppo di amiche delle figlie, che ero molto intelligente, che avevo una sensibilità diversa dalla loro, che io ero speciale, che le altre ragazze erano stupide in confronto a me – ha raccontato ancora la donna -. Avevo 16 anni. Sentivo quella vocina dentro di me che mi diceva questo atteggiamento non è normale, quella bandiera cosi rossa che mi urlava di scappare. Quella voce che 15 anni dopo ancora mi tormenta”, ha ammesso Gemma.
Quel che è accaduto dopo per certi versi è stato ancora peggio. “È difficile spiegare gli effetti di un abuso sessuale – ha spiegato la donna – È ancora più difficile denunciarlo, in una società che si preclude a difendere i sospetti ed a umiliare le vittime”. A 16 anni, Gemma decide di andare a denunciare quanto subito alla Questura di Viterbo. Qui inizia un altro calvario. Non le è concesso di raccontare la sua drammatica esperienza a un agente donna. Le viene poi chiesto di descrivere nuovamente tutto ad una psicologa nominata dalla polizia.
“Alla fine di varie sedute mi viene detto che ero una ragazza troppo intelligente, e siccome non stupida sarebbe stato difficile ottenere una condanna a favore di Luciano Scibilia in tribunale – ha raccontato rammaricata la poliziotta -. Fossi stata una ragazza stupida non ci sarebbero stati problemi ad ottenere una condanna. Io ed i miei genitori siamo rimasti sconvolti perché lo stupro non discrimina l’intelligenza”.
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