Il gender gap colpisce anche le imprenditrici. Secondo un recente studio di Bloomberg – voce autorevole per l’analisi dei dati finanziari americani e non soltanto – le nuove imprese al femminile raccolgono sempre meno fondi dei concorrenti di sesso maschile.
La qualità del progetto, l’elaborazione del business plan e la competenza professionale non riescono a incidere quanto il sesso di appartenenza nella valutazione dei venture capitalist. A parità di bontà di idea di business una donna riuscirà a raccogliere al massimo 77 milioni, mentre il suo concorrente maschile sarà finanziato per 100. Nel migliore dei casi quindi la differenza si aggira sempre intorno ad un quinto: come per le manager e le impiegate statunitensi, a parità di mansioni, il reddito delle donne resta ancora un quinto inferiore a quello maschile.
Riuscire a farsi finanziare la propria impresa per una cifra così elevata resta comunque un traguardo alla portata di poche. I dati dello studio di Bloomberg evidenziano le difficoltà dell’imprenditoria femminile a stelle e strisce: tra il 2005 e il 2009 soltanto il 7% delle imprese ‘rosa’ è riuscita a raccogliere dai venture capitalist più di 20 milioni di dollari, una percentuale che viene definita dagli stessi addetti al settore “decisamente insoddisfacente”.
Negli ultimi trent’anni il quadro della situazione è rimasto sostanzialmente immutato. Uno studio redatto dai ricercatori dell’Università della Nord Carolina negli anni ’80 metteva in già evidenza i pregiudizi degli investitori uomini nei confronti delle imprenditrici: una mancanza di fiducia che inevitabilmente li porta a scegliere di investire cifre minori o addirittura a non ‘scommettere’ nei progetti imprenditoriali al femminile. Dalla lettura dei dati dello studio della UNC risulta chiaro come gli uomini preferiscano investire sui ‘propri simili’ anche semplicemente per una questione di ‘maggior comfort’. Se consideriamo che ad oggi i venture capitalist sono in netta prevalenza uomini e la presenza di investitrici donne è ferma al 7% (nei primi 100 fondi di investimento americani), è facile prevedere il sesso di appartenenza di chi guiderà le prossime nuove imprese americane.
Nel resto del mondo non va meglio: il rapporto 2016 del World Economic Forum sottolinea come il divario tra uomini e donne nel lavoro, a tutti i livelli, invece di restringersi si vada allargando. Le opportunità di crescita lavorativa offerte alle donne sono in misura sempre inferiore. Gli studiosi hanno stimato che il tempo necessario per chiudere il gap – a livello mondiale- sia salito a 170 anni, rispetto ai 118 stimati nel rapporto 2015. Soltanto le nazioni del nord Europa, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia hanno attuato politiche efficaci in grado di sanare questo divario. Alle donne non basta più studiare e avere competenze anche in mondi tradizionalmente considerati maschili, per accedere a pari livello alle opportunità del mondo del lavoro.