Si studia, si legge, si è ormai avvezzi all’argomento, eppure c’è chi ancora non comprende quale sia la vera natura del femminicidio. Uno di questi è il Capo di Stato Maggiore Vannacci. Sul femminicidio il militare ha le idee chiare, o quantomeno ne è convinto: dice la sua con fermezza, ma ignora la legislatura in merito. Roberto Vannacci punta a spiegare nella vita che lui, avendo due figlie, certi argomenti li può capire e può empatizzare: “Ciò che affligge le mie figlie affligge me”, spiega, e racconta che le sta crescendo come donne che si sanno difendere. C’è da chiedersi: se fossero stati maschi li avrebbe cresciuti come uomini che sanno non attaccare?
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Alcune forti affermazioni del Capo di Stato Maggiore arrivano in un momento particolare per il militare. È appena stata diffusa la notizia della notifica a Vannacci dell’apertura dell’inchiesta disciplinare conseguente alle polemiche su Il Mondo al Contrario.
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Vannacci ufficialmente sotto inchiesta, il militare si mette in licenza
Lungi dall’essere lontano dai guai, Vannacci sta però verificando quali possono essere le conseguenze delle sue affermazioni estreme. Il Capo di Stato Maggiore, che in questo momento si trovava a Palazzo Esercito per il periodo di affiancamento necessario prima di assumere formalmente il suo nuovo ruolo, è stato raggiunto dall’ufficiale notifica di apertura dell’inchiesta interna dell’Esercito, in conseguenza alle polemiche scoppiate con la pubblicazione del libro Il Mondo al contrario. Vannacci si è messo in licenza immediata per motivi familiari.
È stata pubblicata adesso un’intervista fatta a Roberto Vannacci, nuovo Capo di Stato Maggiore, a La Stampa: l’intervista era stata concessa a ridotto dell’omicidio di Giulia Cecchettin ma si è deciso di pubblicarla solo ora. Vannacci, orma noto per le sue posizioni estreme sul patriarcato (è uno degli affezionati al concetto di inesistenza dello stesso) ha parlato s lungo di donne e violenza, e su Giulia Cecchettin ha detto: “Non mi piace chiamarlo femminicidio”.
Il femminicidio, che non esiste e non è più grave
Il primo intervento shock riguarda la natura dell’esistenza stessa del concetto di femminicidio, sul quale hanno i dubbi in tanti (prevalentemente uomini): “Prima di tutto non mi piace chiamarlo femminicidio. Perché chiamare l’omicidio di una donna in modo diverso? Quindi l’assassinio di un tabacchino lo chiameremo commercianticidio? La matrice di chi vuole punire chi fa commercio non la vede? C’è in qualsiasi omicidio una matrice precisa. Si parla da anni di femminicidi, eppure le donne continuano a venire uccise: Non dico di smettere, dico che farlo non serve”. Poi, nell’intervista, sbaglia: è convinto che i femminicidi vengano puniti più gravemente invece la normativa non lo prevede, e allora incassa: “Mi sono sbagliato. Non sono preparato, io faccio il militare, non l’esperto di diritto. Le dico la mia su questi incessanti omicidi di donne. Chiamiamoli pure femminicidi, va bene, non mi dà fastidio”.
Vannacci e Giulia Cecchettin: il problema sono gli “uomini deboli”
Poi passiamo a Cecchettin, a quanto si è detto su Filippo Turetta e sulla tesi della sorella di Giulia -e non solo sua – che vuole l’assassino di sua figlia non mostro ma banale figlio di una cultura: “Il paradosso è che pensare che la responsabilità di quella che chiamiamo cultura patriarcale sia di uomini forti e prevaricatori: è il contrario. Sono gli uomini deboli a fare del male alle donne. Noi educhiamo uomini deboli, non uomini forti. Uomini e donne si ammazzano perché perdono il lavoro; ragazze e ragazzi si suicidano perché vengono bocciati. Il punto non è che i maschi vogliono possedere una donna: è che dipendono da lei. Se perdi una compagna, non ne cerchi un’altra ma ti ammazzi.
Se perdi un lavoro, non t’industri per cercarne uno: aspetti il reddito di cittadinanza”. Poi ha uno slancio sulla parità di genere: “Chiedo il reddito di paternità: io sarei stato a casa con le mie figlie molto volentieri, e a lungo”. Del delitto Cecchettin dice: “sono storie tutte uguali, tutte morti annunciate”, ma per lui non contano come femminicidi: “Le borseggiatrici da quanto esistono? E però non le possiamo mettere in galera, giusto?”. Un salto di ragionamento difficilmente cavalcabile.
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