Gino Cecchettin ha aperto le porte della sua casa al mondo. Ha già aperto il suo cuore, come il resto della sua famiglia: i Cecchettin sono gente dalla forza formidabile, con una capacità enorme di mantenere la mente salda ed un’umanità aggraziata, nonostante le tenebre li abbiamo ingoiati. Due volte: a ottobre 2022 la prima, con la morte della mamma Monica: ora la seconda, più devastante, con l’omicidio di Giulia. La loro forza è tale che la luce dentro di loro è incontenibile, e illumina tutti: così sono riusciti a trasformare un dolore privato in una battaglia di tutti e, soprattutto, per tutti. Per la prima volta Gino Cecchettin ha deciso di mostrare la dimensione più intima della sua famiglia: cosa c’è tra le pareti di quella casa di cui si conosce ormai bene l’esterno, mostrato mille volte dalle telecamere nei giorni della scomparsa. Ora, ha rivissuto le ultime ore passate insieme a sua figlia, e lo ha fatto mostrando il suo letto sfatto, i suoi giochi di bimba, il letto in cui è morta sua madre.
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Gino Cecchettin fa entrare l’Italia in casa – e nel cuore di Giulia
Walter Weltroni, per il Corriere, è stato invitato nella luce. È entrato in casa della famiglia Cecchettin, in punta di piedi, come si fa in un luogo sacro. Casa Cecchettin è una nuova Pompei, mostra la bellezza infinita di un mondo su cui è piombato il male all’improvviso: eppure, quella bellezza è tangibile. Giulia era la figlia ideale. Gino Cecchettin descrive i suoi figli, che sono proprio come li hanno conosciuti tutti: “Elena è l’essere superiore. Davide ora il mio sostegno. I miei ragazzi sono forti. Elena ha ignorato gli assurdi attacchi che ha ricevuto, ma si è sentita riscaldata dall’immensa ondata di coscienza civile di affetto che le sue parole hanno determinato nel Paese. Giulia era brava nello studio, era naturalmente portata a occuparsi del prossimo, a prendersi in carico gli altri. Quando aveva dieci anni e andavamo in pizzeria, dopo un poco si metteva da parte e attorno a lei si riunivano tutti i bambini del locale. A scuola era bravissima. Ha fatto il liceo classico, adorava le materie letterarie”. Poi si perde in un lungo cammino nell’evoluzione delle sue aspirazioni: “Voleva fare la maestra, quando era piccola. Poi l’insegnante di lettere. Ma si rese conto, anche parlandone con la madre, che è un mestiere, in Italia, poco considerato e poco retribuito. Lei pensava di mettere su famiglia e con mia moglie avevano scandagliato tante possibilità. Una volta sentì parlare una persona che univa la psicologia e l’ingegneria biomedica e spiegava come si potessero applicare le tecnologie alla realizzazione di protesi. Le piacque molto l’idea di coniugare scienza e solidarietà”. Poi, la vocazione: diventare un’illustratrice, mostrare il mondo con nuovi occhi e nuove mani: “Tempo fa mi disse che lei si sarebbe laureata, ma poi avrebbe voluto fare una scuola di comics, era stata a un open day a Reggio Emilia. Aveva paura che ci rimanessi male, che fossi deluso. Il suo sogno, adesso, era diventare illustratrice. Le dissi che la vita va vissuta inseguendo le proprie passioni e che ero certo sarebbe diventata la migliore illustratrice del globo. Fu contenta e mi abbracciò”.
La morte della madre: il dolore bussa alla porta per la prima volta
La morte della madre, un anno fa, aveva cambiato gli equilibri, ma già allora Giulia aveva mostrato il meglio di sé, la sua grande capacità di prendersi carico di tutto e tutti, ma anche di mostrarsi fragile: “Da quando mia moglie se ne è andata il nostro rapporto si è fatto più stretto. La nonna mi ha detto che Giulia le aveva confidato di essere contenta per aver riscoperto il rapporto con il padre. Quando sua madre è morta, in questa stanza, era notte. Elena ed io l’abbiamo vegliata e se ne è andata tra le nostre braccia. I miei figli hanno conosciuto così la morte che ha spalancato le porte di questa casa. Giulia forse è quella che mostrava in modo più visibile il suo dolore. Ogni tanto si bloccava, le lacrime le scorrevano sul viso e aveva bisogno di un abbraccio che le restituisse calore. Elena e Davide sono più come me: teniamo dentro, finché possiamo. Da quando Monica non c’è più ed Elena è andata a studiare a Vienna, Giulia era diventata la coordinatrice della casa, il sabato mattina su questo tavolo lei si metteva una sacchetta a tracolla, con il walkman, e cominciava a stirare”.
L’ultimo pranzo insieme: il ricordo degli attimi finali con Giulia
La mente va sempre a quell’ultimo giorno. A quelle sensazioni provate, che ora vengono interpretate in modo diverso. Ogni attimo, ogni espressione, ogni gesto è ormai cristallizzato nel tempo: sono gli ultimi sorrisi di Giulia: è l’ultima volta che scola la pasta, mette il piatto nel lavello, si infila le scarpe ed esce di casa. Quel sabato siamo stati a pranzo insieme, poi lei è andata in camera sua”, racconta Gino. Che spiega: “Le ho chiesto dalle scale che avrebbe fatto dopo e lei mi ha detto: “Forse stasera non torno a cena”. Non le ho chiesto di più. Era una ragazza di grande responsabilità, che non aveva mai dato un problema, concentrata. Io non sapevo delle tensioni con Filippo. Lo avevamo conosciuto, quando stavano insieme; ci era sembrato timido, un po’ freddo”. Con una figlia così brava, non si può immaginare che il male possa sbranarla, e anche le mancate confidenze di Giulia erano una protezione nei confronti dei suoi cari: “Ho saputo tutto solo dopo. Mi hanno detto che lui, la penultima volta che si sono visti, l’aveva spaventata urlando in modo forsennato. Su spinta di Giulia aveva accettato di farsi vedere da un terapeuta. Ma ne ha cambiati quattro e sempre ha fatto scena muta. Elena aveva capito e le aveva detto il suo giudizio su Filippo. Forse per questo, per timore della disapprovazione della sorella maggiore, Giulia non l’aveva informata dello stato d’animo poi rivelato, anche per noi, dal messaggio trasmesso da Chi l’ha visto”.
Anche quando Giulia non torna in orario, dopotutto, Gino non si preoccupa subito: “Quella sera io dovevo andare a prendere Davide in centro. Aspettando il momento mi sono addormentato qui, sul divano. Quando mi sono svegliato erano le undici e trequarti. Sono tornato e lei non c’era, ma non avevo alcuna ragione per preoccuparmi, capitava, il sabato sera. Non avevo sonno e mi sono messo, come eravamo d’accordo, a correggere la sua tesi. Le ho mandato uno screenshot di un errore e solo allora mi sono accorto che era l’una e quarantacinque. Ho pensato che la mattina dopo l’avrei rimproverata, ma quando mi sono alzato non c’era e da allora è cominciato tutto”. Con la luce del giorno, a casa Cecchettin, cala l’oscurità.
Il dolore e la lotta: combattere perché Giulia non sia dimenticata
Non può mancare il pensiero alla missione di adesso: vivere il dolore e trasformarlo, renderlo lotta positiva. La casa rimane luogo sacro, ma fuori di essa occorre fare rumore: “Vorrei preservare questa casa come la dimora di noi cinque. Il dolore ce l’ho dentro e mi accompagnerà. Ma ciò che mi preme ora è fare in modo che, finita l’emozione, non ci si torni ad assopire. Noi italiani siamo bravi ad avere slanci civili ma siamo anche capaci di dimenticare in fretta. Il rumore è il campanello che ogni mattina ci deve tenere svegli e farci chiedere cosa abbiamo fatto per far finire i femminicidi. Quando ho parlato di un impegno civico ho voluto dire che, con una Fondazione o in altro modo, io voglio dedicare la mia vita a far sì che non ci sia un’altra Giulia. Per me bisogna partire dall’educazione. La violenza non è un problema di altri. Prendi le due famiglie coinvolte in questa vicenda: due ragazzi universitari, cresciuti in determinate famiglie. Sembra un ambiente al riparo, invece no”.
I Turetta non avranno mai il suo odio: Gino non riesce a non pensare a Elisabetta e Nicola che hanno perso un figlio come lui, anche se in modo diverso. E, soprattutto, hanno perso ogni certezza che avevano. “Per i genitori di Filippo non provo odio, ma tristezza e persino tenerezza. Io ho già ricominciato a camminare nella vita, per loro sarà più difficile. Li abbraccio virtualmente, hanno avuto, se possibile, una disgrazia più feroce della mia. In questi giorni non ho provato né odio né rabbia. Quando sono riuscito a leggere gli articoli sull’aggressione ho provato solo dolore per mia figlia che era lì, sola, spaventata, senza che io potessi aiutarla”.
Gino Cecchettin ha visto il cadavere di sua figlia, dopo il ritrovamento. Ha visto il volto dilaniato dalle coltellate, il grigio della morte, lo sporco della natura che si era infiltrato in lei mentre giaceva in mezzo alla boscaglia. Deve aver visto quello che Paola Deffendi vide sul corpo di suo figlio, Giulio Regeni, quando glielo restituirono in Egitto: lei lo descrisse come “tutto il male del mondo”. Lui non parla del male, racconta cos’ha ritrovato della sua Giulia viva nella Giulia morta: “Ho voluto vederla, dopo. La prima volta, due giorni fa, le ho toccato la gamba. Ho visto le sue mani fasciate e avevo il desiderio di stringerle. Prima che chiudessero la bara ci sono riuscito. È stata dura, ma l’ho sentita vicino a me, come non mai”.
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