Si andrà a elezioni anticipate: gli strappi tra Salvini e Di Maio non sono più ricucibili. In poco tempo quello che doveva essere “il governo del cambiamento” si è rivelato un banale esecutivo di coalizione. Dopo soli cinque mesi è caduta la foglia di fico del “contratto” (a cui solo i più miopi avevano creduto) ed è saltato così il metodo in base al quale M5S e Lega avrebbero agito nei ministeri e sui dossier di loro competenza, contando sul fatto che l’alleato non avrebbe interferito. Era così all’inizio, ora non più. E crescono le voci del voto a marzo.
La “guerra degli emendamenti” iniziata al Senato dai grillini sul dl Sicurezza, si è riprodotta a parti rovesciate alla Camera sul ddl Anticorruzione, dove i leghisti hanno preso di mira alcune norme del provvedimento che andavano a toccare “interessi sensibili” dei Cinque Stelle. Anzi di Casaleggio, per dirla tutta.
La questione era stata affrontata in una riunione del Carroccio, durante la quale alcuni dirigenti del partito avevano spiegato con veemenza a Salvini che “quelli lì — ovvero i grillini — non possono gridare ‘onestà onestà’ e poi agevolare le donazioni alle fondazioni e affossare i partiti”.
Ecco cosa ha scatenato la reazione del Movimento, che ha presentato l’emendamento sulla prescrizione senza avvisare gli alleati. Di qui l’ennesimo braccio di ferro. È vero, ci penseranno i leader a trovare un compromesso ma intanto lo scollamento politico si riverbera nell’assenza di solidarietà tra i parlamentari delle due forze: in Transatlantico i capannelli misti di inizio legislatura non ci sono più. Il distacco (anche fisico) è tale che ieri, in commissione Giustizia a Montecitorio, il leghista Paolini sussurrava ai colleghi di altri partiti: “Si corre verso il voto anticipato. Ma non a giugno, a marzo”.C’è chi ci crede e chi — come il forzista Marin — ritiene sia “un gioco delle parti”, utile a M5S e Lega per svolgere contemporaneamente il ruolo di maggioranza e opposizione. Ma se davvero fosse solo una commedia, allora non si capirebbe l’umor nero di Di Maio, che in serata ha riunito la squadra di governo di cui è “insoddisfatto”. Né si comprenderebbe l’irritazione di Salvini, che ieri confidava di incassare il voto del Senato sul decreto Sicurezza e che invece ha dovuto schivare una trappola ordita dagli alleati.
Perché questo era l’intento dei grillini, che avevano fatto filtrare la notizia di un vertice notturno a Palazzo Chigi tra Conte e i vicepremier per dirimere la vertenza sulla prescrizione. Lì sarebbe dovuto avvenire lo “scambio” tra il voto di oggi a Palazzo Madama sul decreto caro al leader del Carroccio e l’intesa a Montecitorio sul ddl Anticorruzione a cui mira Di Maio. E proprio su questo provvedimento — dopo che Salvini ha fatto saltare il vertice — il leader di M5S ha ordinato la rappresaglia, facendo cassare dai relatori grillini tutte le modifiche presentate dai leghisti.
La “guerra degli emendamenti” evidenzia il logorio della coalizione. E i giochi da Prima Repubblica si svolgono in un clima surreale. In questo quadro si tenta di portare avanti la mediazione sui conti pubblici tra Roma e Bruxelles: come spiega un autorevole esponente del governo, “da entrambe le parti stiamo cercando di prender tempo per arrivare a un compromesso. L’Europa dovrà far mostra di non cedere all’Italia mentre noi dovremo trovare il modo di cambiare la manovra senza dirlo”.
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