C’è una guerra “sotterranea” di cui si parla poco ma che coinvolge tutto il mondo: è quella che riguarda le rotte di gas per l’Europa. Il gas è uno dei pilastri dell’energia dell’Unione: attualmente, nel mix energetico europeo, rappresenta il 25% dell’intero sistema. E questo fa capire perché l’Europa e il suo mercato sono fondamentali per i Paesi esportatori di energia, ma anche perché l’Europa, come Unione e come Stati, non può prescindere dalla politica energetica. Soprattutto perché gran parte degli Stati europei, compresa l’Italia, vive di importazioni dall’estero.
L’Unione europea è raggiunta dal gas tramite una fitta rete di gasdotti che non solo servono a comprendere i rapporti fra i diversi Stati membri e le politiche energetiche europee, ma anche capire come si può evolvere il rapporto di Bruxelles e dei Paesi membri con i grandi produttori extra-europei.
La Russia resta, ancora oggi, il gigante delle esportazioni energetiche in Europa. Tre i suoi principali canali per l’export di oro blu: Brotherhood, Yamal-Europe, Nord Stream. Brotherhood, con una capacità di 100 miliardi di metri cubi di gas all’anno è il principale canale di arrivo del gas russo in Europa. E transita per l’Ucraina. L’enorme capacità di questa condotta unita al passaggio in un Paese ora avversario di Mosca, fa capire l’importanza strategica di questa infrastruttura, che può realmente cambiare gli equilibri dell’Europa orientale e non solo.
In Slovacchia, il gasdotto si divide in una parte che va in Repubblica ceca. Il suo secondo ramo va in Austria. Da qui, il gas naturale russo arriva in Italia, Ungheria, Slovenia e Croazia. Yamal-Europe, con una capacità di 33 miliardi di metri cubi all’anno, rappresenta la seconda grande infrastruttura che collega il gas russo all’Europa: attraversa la Bielorussia e la Polonia raggiungendo la Germania. Sulla sua rotta, ha 14 stazioni di compressione.
Il gasdotto Nord Stream, che corre sui fondali del Mar Baltico, ha una capacità di 55 miliardi di metri cubi all’anno. Il suo percorso va dalla baia di Portovaya, vicino Vyborg, fino alla costa tedesca nei pressi di Greifswald. Il suo raddoppio, il cosiddetto Nord Stream 2, è ancora oggi oggetto di sfida fra Russia e Stati Uniti. Langeled Vesterled, Europipe I, Europipe II, Norpipe, Franpipe, Zeepipe. Sono questi i gasdotti che collegano i giacimenti della Norvegia al resto dell’Europa. Alcuni passando per il Regno Unito, altri arrivando direttamente nel blocco continentale, in particolare in Belgio, Francia e Germania.
Questa imponente rete di pipeline rende la Norvegia non solo uno dei Paesi più ricchi d’Europa, ma anche il secondo fornitore del continente dopo la Russia. Nei fondali dei mari settentrionali, la rete che trasporta l’oro blu dai giacimenti norvegesi ai terminali europei rappresenta una fitta trama non solo di gasdotti, ma anche di interessi politici. E fa capire anche l’importanza della Brexit nel mercato, con l’Ue che vedrebbe il Langeled Vesterled e il Norpipe diventare gasdotti che portano gas in un Paese esterno all’Unione.
L’Algeria è il terzo Paese esportatore di gas in Europa. Attraverso il gasdotto Transmed, che arriva in Sicilia e poi viene stoccato in Emilia-Romagna, il gas algerino entra in Europa attraverso la nostra penisola. Poi, c’è una seconda rotta, che è quella iberica, con due gasdotti che partono dai giacimenti del deserto algerino per giungere in Europa. La Libia è il quarto esportatore di gas in Europa. E questo Paese è particolarmente importante per l’Italia poiché è l’unico Paese che possiede i terminali dell’oro blu libico.
Attraverso il Greenstream, che dal terminale di Mellitah arriva a Gela, il gas naturale provenienti dai giacimenti dell’ovest della Libia arriva direttamente in Europa, rendendo di fatto il nostro Paese l’hub continentale per gli idrcarburi di Tripoli. È un segnale di come l’Italia (e quindi Eni) abbia avuto, e continui ad avere, una chiave fondamentale per l’approvvigionamento energetico dal Nordafrica.
L’Unione europea ha impostato la sua strategia energetica su un obiettivo: la diversificazione. Questo obiettivo è in particolare dovuto a un fattore: l’evidente peso della Russia su tutto il mercato europeo. La Russia, ad oggi, rappresenta senza alcun dubbio il più grande esportatore di oro blu in tutto il continente. E questo fatto non piace non solo all’Ue, che si sente di fatto dipendente dall’energia russa, ma anche alla Nato e agli Stati Uniti, che temono che Mosca possa avere le chiavi della politica europea.
L’idea che circola a Bruxelles e Washington è che il Cremlino, tramite i rubinetti del gas, possa influenzare le scelte strategiche dei Paesi. Per questo motivo, l’Unione europea ha deciso di dare il via a una serie di progetti che hanno obiettivo quello di evitare che il suo gas arrivi in modo troppo evidente soltanto dai giacimenti siberiani.
Ecco allora che nel tempo, la Commissione ha definito come infrastrutture strategiche diversi progetti come il Tap e l’East-Med, che fanno arrivare il gas dal Caucaso e dal Mediterraneo orientale. Ma ecco anche il perché del blocco del Blue Stream, il progetto per portare il gas russo nei Balcani passando per il Mar Nero.
Obiettivi chiari, come quelli degli Stati Uniti, che però sfidano un elemento non trascurabile: la convenienza. Il gas russo è molto, è vicino e i gasdotti già esistono. Un po’ come avviene per i Paesi africani. Al contrario, il Gnl americano e il gas proveniente da altri Paesi del blocco occidentale, costa di più oppure deve anche avere le strutture per trasportarlo.
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