Tagli, desolazione, elettori disinnamorati. Poche eccezioni, isole felici in un mare nerissimo. Storiche sedi che chiudono, come quella di Guido Rossa, nel quartiere popolare Oregina a Genova. Buchi di bilancio clamorosi, vedi in quel di Roma. Il Pd di oggi è un partito triste, sempre più indebolito. Quasi un ectoplasma. A scattarne una fotografia cupa e drammatica è l’Espresso, che ha scelto di viaggiare tra quelle città dove un tempo i dem spopolavano e dove ora nessuno si cura più delle sorti del partito.
Troppo lontano, il Pd, da cittadini che si chiedono dubbiosi come si possa ancora parlare di correnti, strategie e candidature dopo una batosta fragorosa come quella dello scorso 4 marzo. Le cifre sono impietose: vedere ad esempio il segno meno davanti ai consuntivi delle feste e altre manifestazioni 2017, gli ultimi disponibili. Meno 108 mila a Genova, meno 448 mila a Bologna (da sola, la festa provinciale totalizzava meno 732 mila). Il 2018 difficilmente segnerà un’inversione di tendenza.
A livello nazionale i dati degli iscritti vengono tenuti segreti. Nelle città sono un’altra pugnalata: a Roma si è passati da 10 a 7 mila in un triennio. A Bologna hanno chiuso in dieci anni quasi quaranta circoli (erano 136 nel 2008, ora siamo a 98) mentre gli iscritti, che nel passato d’oro hanno sfiorato i 40 mila, ora a mala pena raggiungono le due cifre. A Genova nel 2017 si è scesi sotto i tremila: 2838, per la precisione.
Manca un progetto che faccia di nuovo sognare gli elettori, mancano nomi e idee che risveglino le coscienze. Valentino Castellani, già sindaco di Torino e protagonista della lunga stagione degli anni Novanta, spiega così la crisi: “Non riesco ad appassionarmi a queste candidature. Non si capiscono le differenze, mentre un partito dovrebbe produrre anzitutto pensiero”.
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