Un corpo sacerdotale che nel corso degli ultimi trent’anni si è ridotto del 16% e che inizia a mostrare il fiato corto, sempre più vecchio come età media. E così i fedeli si trovano a doversi abituare alla scomparsa di un tradizionale punto di riferimento, quella figura del parroco in costante declino. Lo dicono i dati dell’Istituto centrale per il Sostentamento del Clero, forniti a La Stampa da Franco Garelli, sociologo delle Religioni. A maggio 2019 erano presenti in Italia 32.036 sacerdoti diocesani, circa un prete ogni 1.900 abitanti.
Nel 1990 il clero diocesano era composto da oltre 38mila tonache. Così in un terzo delle 25.610 parrocchie italiane in trent’anni si è passati da un unico pastore a una gestione collegiale di più preti occupati in più parrocchie, oppure a un unico parroco condiviso con altre parrocchie. Un vuoto che preoccupa la Chiesa e che ha portato “disorientamento nei fedeli, soprattutto i più anziani”. L’altro processo che segna la Chiesa è l’invecchiamento. “Se per convenzione – spiega Garelli – consideriamo non più impiegabili in un ruolo pastorale ordinario i preti con più di 80 anni, emerge uno scenario ancora più critico”.
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Il senso del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia, in corso in questi giorni, è allora proprio quello di riconoscere “i segni dei tempi” e corrispondere a essi in maniera coerente la dottrina cattolica. Come scrive Il Fatto Quotidiano, i segni dei nostri tempi sono di certo l’ambiente ma anche la parità di genere e la famiglia, nelle molteplici forme che le libertà civili concedono. Il confronto, promosso da Papa Francesco, porta con sé due possibili rivoluzioni. La prima è il celibato opzionale per coloro che vogliono essere ordinati preti, la seconda potrebbe essere un ministero ufficiale per le donne: se non ancora il sacerdozio, un primo passo per riconoscere un diaconato che in molte piccole comunità è già praticato.
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Cambiamenti radicali che sarebbero “una grazia per la Chiesa”, contro la fuga dei fedeli (e dei sacerdoti) e per “obbedire a quel che la Chiesa già preparava nel Concilio Vaticano II”. “Nella maggior parte delle Chiese i ministri possono avere famiglia, persino in quella cattolica i preti di rito orientale possono sposarsi – afferma don Giovanni Cereti, presbitero e docente di teologia ecumenica intervistato dal Fatto Quotidiano – L’ordinazione non subirebbe alcun danno se anche la Chiesa cattolica latina, l’unica che richiede il celibato, lo rendesse opzionale: chi lo desidera, potrebbe abbracciarlo e far voto di castità, ma senza che sia condizione indispensabile”.
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