Un articolo a firma del filosofo Diego Fusaro, tanto in voga in questo periodo tra i sovranisti italiani, ha innescato una riflessione su cosa significhi oggi essere rivoluzionari. L’intellettuale noto per la sua passione per Hegel, oltre che per il carattere noioso come confessato della sua compagna la giornalista Aurora Pepa, si è lanciato in una rilettura critica di Gramsci. Perché? Per cercare di giustificare l’etichetta di “rivoluzionario” assegnata al movimento sovranista che sta facendo sempre più adepti in Europa. “Sulle orme di Gramsci, una teoria può dirsi rivoluzionaria quando separa completamente il campo del Servo da quello del Signore, ponendosi come ‘vertice inaccessibile’ agli avversari e come categorizzazione del reale non riassorbibile nelle maglie dell’ideologia dominante”. Fin qui possiamo anche essere d’accordo, anche se non è la sola “separazione” di campo a fare rivoluzionaria una teoria politica. Dimentica forse Fusaro la violenza dei Lenisti? Per non parlare di quella dei fasci di combattimento. Giusto per parlare di due movimenti politici che la rivoluzione, poi, l’hanno fatta davvero.
Fusaro vuole eleggere i sovranisti italiani tra i rivoluzionari. Quindi estende il concetto di lotta di classe dal campo sociale a quello culturale per dire che i movimenti davvero rivoluzionari sono quelli che portano avanti una “lotta superstrutturale tra visioni del mondo diverse e antagonistiche, tra prospettive non componibili e in aperto contrasto”. Fermiamoci un attimo perché non vogliamo fare un trattato di filosofia e cerchiamo di capire se questa definizione può calzare ai partiti e movimenti che sostengono oggi il governo Conte. Che il Movimento 5 Stelle abbia una visione antagonistica è noto fin dalla sua fondazione, anzi, da prima ancora, dai Vaffa-day quelli sì rivoluzionari, nella forma e nei contenuti. Così come è sempre stato antagonista l’atteggiamento (e l’azione fino ad un certo punto) nella sfera istituzionale, dai livelli locali fino alla politica nazionale, a partire dalle elezioni politiche del 2013. Può definirsi anche “lotta di classe” l’azione politica volta all’eliminazione dei privilegi della casta, storica battaglia del M5S, così come la perseveranza nella realizzazione di istituti a tutela dei più deboli, quali ad esempio il reddito di cittadinanza. Di sovranismo oggi nel M5S resta l’atteggiamento euroscettico, il resto è “statalismo di sinistra”: nazionalizzazioni, sussidi, controllo verticistico.
Non si può dire la stessa cosa, invece, della Lega di Matteo Salvini. Il leader leghista ha elaborato una strategia politica antagonista soltanto per alcuni temi particolarmente cari al suo “popolo”. In primis l’immigrazione, poi il fisco. Difficile però sostenere che nell’azione politica della Lega, almeno quella dell’era di Matteo Salvini, ci siano elementi rivoluzionari, di “lotta superstrutturale”. Ci sono elementi rivoluzionari nella comunicazione, in particolare su alcuni temi: dell’immigrazione abbiamo detto, ma altrettanto si può dire dell’Europa, della burocrazia e del malaffare. Ma per quanto riguarda la “lotta di classe”, Salvini e soci stanno con un popolo eterogeneo e davvero ben poco propenso a rivoluzioni dell’ordine costituito. Un popolo che spazia dai pensionati incattiviti del Nordest, ossessionati dai “negri e dagli zingari”, al popolo delle partite Iva individuali strozzate dal fisco, dagli antiabortisti ultra-cattolici agli imprenditori agricoli incazzati da sempre con l’Europa. Croce e aratro insomma, proprio come vuole il teorico della nuova destra identitaria mondiale, Steve Bannon, che non a caso è “innamorato” di Salvini.
Insomma se Fusaro intendeva definire Lega e Movimento 5 Stelle forze politiche rivoluzionarie perché anti-sistema a parole, negli atteggiamenti, nei proclami quotidiani sui social ci trova d’accordo. Ma che il programma del governo Conte, un mix perfetto tra quelli di Lega e M5S, e di conseguenza la sua azione politica abbiano contenuti rivoluzionari, proprio no. Dal decreto sicurezza al Dl fiscale, per non parlare dei provvedimenti ancora in fase di definizione come quello che darà vita al reddito di cittadinanza, c’è davvero ben poco di rivoluzionario. C’è un mix di provvedimenti assistenzialisti e di pura costruzione del consenso elettorale. Identitari forse, rivoluzionari proprio no, nel senso che i programmi e le azioni politiche fin qui viste influiscono se non in minima parte sulle dinamiche sociali congelate da anni in Italia come nel resto dell’Europa. C’è un po’ di destra (xenofoba) e un po’ di sinistra (statalista), ma davvero ben poco di realmente rivoluzionario. Rivoluzionario sarebbe stato dire “ce ne freghiamo dello spread, usciamo dal sistema Bce che ci strangola e vendiamo il debito al migliore offerente”. Ah già, ma loro sono sovranisti non lo possono dire. Non lo diranno nemmeno alla fine, quando saranno costretti a provare a farlo. Quando non ci sarà più nulla di rivoluzionario nel dire all’Europa “facciamo da noi”. Ha voglia a parlare Fusaro di lotta degli “schiavi contro il signore mondialista”: il signore se la ride se gli schiavi pensano di sconfiggerlo lottando a mani nude, mentre lui indossa un’armatura d’acciaio. Essere rivoluzionari oggi vuol dire parlare alla “pancia del popolo” e gioire della “sconfitta del nemico” o avere una visione del futuro senza nemici, dove la libertà e la giustizia sociale diventano l’essenza stessa delle istituzioni? Se è così i sovranisti italiani sono una mera invenzione, un escamotage di comunicazione politica anche poco originale.
Leggi anche –> Aratro e croce: ecco servita la nuova classe politica cristiano-sovranista