Roberto Saviano, attraverso le pagine del Corriere della Sera, aveva parlato dei talebani come dei “più forti narcotrafficanti al mondo”, mettendoli al centro del grande business dell’oppio. Un tema tornato alla ribalta dopo la caduta di Kabul e la presa di potere da parte dell’Emirato islamico, come confermato da un’indagine sulle droghe pubblicata dalla United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc).
Stando al documento, riportato da Open, la coltivazione di oppio resta una delle principali fonti di occupazione del Paese e nel 2019 la raccolta ha creato circa 120 mila posti di lavoro. I talebani avevano cercato di allontanare accuse in merito da loro sostenendo che, invece, la coltivazione del papavero da oppio sarebbe stata interrotta, così come il flusso di droghe illegali, ormai da anni.
L’analisi evidenzia invece come il principale guadagno arriva dalle tasse sul raccolto e dal traffico, con una tassazione sulla coltivazione del 10% riscossa dai coltivatori di oppio. Anche se effettivamente negli ultimi anni il business è diminuito nel 2001, la coltivazione del papavero da oppio nelle aree controllate dai talebani è aumentata negli anni successivi. Le tasse vengono riscosse sia dai laboratori che trasformano l’oppio in eroina, ma anche dai trafficanti che contrabbandano le droghe illecite.
Secondo una stima pubblica dalla Bbc, i ricavi annuali dei talebani si aggirano tra i 100 e i 400 milioni di dollari. Le droghe illecite rappresentano fino al 60% delle entrate annuali, secondo un report stilato dall’organismo di vigilanza statunitense per la ricostruzione afgana (Sigar), con l’Afghanistan considerato ancora uno dei più grandi produttori mondiali di oppio.
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