A cena insieme alla fine non si sono seduti, nonostante l’invito ufficiale. Eppure Carlo Calenda e Matteo Renzi sono davvero uno accanto all’altro, almeno virtualmente. Nei sondaggi, per la precisione, quelli che da un lato vedono Matteo Salvini e la Lega continuare a prendere quota e dall’altro il Pd in picchiata. La crisi nella crisi è quella dell’ex premier toscano, come sottolineato dall’ultimo studio condotto dalla Izi: i dati, anticipati dal Fatto Quotidiano, sono particolarmente impietosi e vedono il rottamatore ormai prossimo alla rottamazione, con una percentuale di elettori a sostegno pari a quella del’ex ministro. Nello specifico, tra gli italiani che nel 2009 avevano votato centrosinistra soltanto il 15,5% si dice pronto a scegliere Renzi in caso di candidatura alle prossime primarie del Pd. Calenda è poco dietro, fermo al 13,1%.
Davanti a tutti, come prevedibile, c’è invece Nicola Zingaretti, l’uomo attorno al quale si è riunito col passare dei mesi proprio quella parte del Pd che verso Renzi ha sviluppato (o sempre avuto) una certa allergia. Il governatore del Lazio, col 28,6% dei consensi, sembra l’uomo designato da tutti per affrontare al meglio le prossime elezioni europee, nella speranza di rosicchiare qualche punticino a Lega e Cinque Stelle. E Renzi? L’ex Presidente del Consiglio continua a ottenere consensi durante le adunate, in ultimo le varie Feste dell’Unità, dove veste i panni della rockstar col microfono in mano. Ma al momento di esprimere una preferenza, gli stessi elettori del centrosinistra dimenticano spesso e volentieri il suo nome. Lui non si arrende e di andare in pensione a soli 43 anni (sogno proibito di milioni di italiani) non vuole proprio saperne. Ma la realtà con cui deve scontrarsi è terribile.
Renzi non esiste quasi più. Ha guidato il Pd con entusiasmo fino agli ottimi risultati delle europee 2014, poi ha trascinato il partito ai minimi storici. Oggi, esattamente come Berlusconi dall’altra parte della barricata, sembra un ectoplasma nel castello della politica italiana. Con la differenza, rispetto al Cavaliere sul viale del tramonto, di essere ancora agli inizi della sua carriera. Rialzare la testa, considerando il divario che separa i dem dai gialloverdi al governo, si fa sempre più difficile col passare dei giorni e richiede una riflessione profonda, un drastico reset per rilanciare un’opposizione che oggi non è nemmeno opposizione, apatica e impelagata in beghe interne delle quali all’elettore importa poco o nulla. Matteo da Firenze non può certo accontentarsi di un ruolo così insignificante: certi palchi, anche se c’è la musica rock, gli vanno stretti, strettissimi.