Sono due i nodi che il premier Mario Draghi intende sciogliere: uno politico, l’altro sociale.
L’obiettivo è allargare al massimo il Green Pass. Per farlo, potrebbe servirgli qualche giorno in più rispetto al previsto. Non è detto che la cabina di regia si tenga questa settimana. Potrebbe slittare qualche giorno ancora. Il tempo necessario per attuare una strategia in tre mosse.
Primo: portare a casa senza troppi traumi il decreto d’agosto, a cui si oppone l’ala No Vax del Carroccio. Secondo: convocare le parti sociali per siglare un accordo sul passaporto vaccinale. Terzo: ragionare sulla possibilità (e l’utilità) di includere anche l’intera galassia delle aziende private, non limitandosi solo ai dipendenti della pubblica amministrazione e ai settori nei quali è già previsto per gli utenti (bar, ristoranti, palestre, treni e aerei).
L’incontro con Landini di ieri, intanto, non è improduttivo: si svolge pochi minuti prima del vertice tra sindacati e Confindustria, e precede anche quello tra Cgil, Cisl, Uil e Confapi. Non è ancora pieno accordo tra le parti sociali. Nulla di imprevedibile, a dire il vero. Toccherà a Palazzo Chigi provare a comporre il quadro, convocando tutti per sbrogliare gli ultimi dettagli sui tre grandi dilemmi che congelano ogni decisione: Green Pass o vaccini obbligatori, protocolli rigidi o meno stringenti, tamponi gratuiti o a pagamento. Serve tempo, però. E Draghi potrebbe concedere qualche giorno in più, lasciando che questa settimana serva a convocare sindacati e imprese, se possibile e praticabile. E a capire se non sia preferibile un provvedimento unico, che parifichi gli obblighi dei dipendenti statali e del settore privato, senza frammentare ulteriormente gli interventi.
Parallelamente, continua a provocare tensioni il “caso Lega”. Al suo interno, Matteo Salvini un po’ accarezza e un po’ si lascia imbrigliare da una minoranza rumorosa che continua a opporsi al Green Pass. È per garantire il loro dissenso che il Carroccio preme fino a tarda sera, chiedendo di evitare la fiducia sul decreto d’agosto. “Spero che non la mettano – si espone il leader in prima persona – Chiederò al governo di non farlo”. L’alternativa è perdere lungo il cammino una decina di irriducibili, sensibili alle ragioni di Claudio Borghi. Sulla carta, Palazzo Chigi si dice disponibile a concedere questo segnale. A patto che il leader leghista convinca però i suoi uomini a ritirare gli emendamenti, permettendo all’Aula di chiudere al massimo entro mercoledì mattina la partita. L’esecutivo non vuole incidenti parlamentari, né può accettare una nuova sconfessione degli accordi di maggioranza, dopo lo strappo in commissione. Nel pomeriggio, il ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D’Incà presiede un vertice con i capigruppo. Sembrano tutti d’accordo sul “disarmo”. Ma poche ore dopo il patto, ancora una volta, viene rimesso in discussione da Salvini. “La fiducia in genere si mette per superare l’ostruzionismo. Ma la Lega ha presentato cinque emendamenti”. Comunque inaccettabili, per Pd e 5S.
La verità è che la spaccatura del Carroccio fatica a restare negli argini. Certo, al termine della segreteria federale, Salvini giura che la posizione del partito “unisce tutti”. Ma è evidente anche solo dalle dichiarazioni pubbliche che i governatori e l’ala governativa sostengono un’estensione del pass che il leader fatica a digerire. Giancarlo Giorgetti, poi, è netto, sempre più netto, sempre un passo più avanti rispetto al progressivo cedimento di Salvini sul certificato vaccinale. “Estenderlo a pubblica amministrazione e imprese? Dobbiamo garantire condizioni di sicurezza. Il Green Pass è una misura che va in questa direzione – dice il ministro – e ne prevedo una ulteriore estensione”.
Non è la prima volta che esprime sintonia verso la linea indicata da Draghi, che è poi la stessa del Quirinale. Pare anzi che nelle ultime riunioni ristrette dell’esecutivo – e a margine di un recente consiglio dei ministri – abbia mostrato freddezza verso la linea del capo. E a domanda esplicita sulla posizione della Lega, abbia replicato più o meno così: “Non domandate a me, chiedete a Matteo”. È lui e non Salvini, però, ad essere capo delegazione del Carroccio. Ed è sempre lui a sedere nella cabina di regia che assumerà le prossime decisioni. Anche se in queste ore il segretario leghista si ritroverà a breve con il presidente del Consiglio per un altro – ormai consueto – faccia a faccia a Palazzo Chigi.
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