Una rivoluzione fallita sul nascere. Quella voluta dal governo gialloverde, già agli archivi in favore della nuova variante con l’introduzione del rosso dem di Zingaretti & co., che aveva provato a modificare i palinsesti televisivi puntando sui “programmi del popolo”, un tentativo di legare gli spettatori alla nuova realtà politica rappresentata in Aula dall’avvento della coppia Di Maio-Salvini. Un esperimento che ha già ricevuto la più sonora delle bocciature, quella del pubblico.
Aggiungete al drastico calo dello share il mutato clima politico, con la Lega finita all’opposizione e sostituita dal Pd, e il gioco è fatto: il cda di via Mazzini è già passato alla controffensiva, a
vviando sin dalla prima riunione dopo la pausa estiva una riflessione sulla diminuzione degli ascolti di Rai 1. Un meeting sollecitato dalla consigliera Pd Rita Borioni, passata nel giro di qualche mese da fervente militante dell’opposizione a paladina della maggioranza.Il rischio, d’altronde, è che la stagione autunnale si riveli un flop pari se non peggiore di quella estiva appena andata agli archivi. I programmi, infarciti dalla direttrice Teresa De Santis di autori e conduttori “fedeli alla linea” gialloverde, non hanno sfondato, per usare un eufemismo. A partire da Uno Mattina Estate, dove era arrivato il biografo di Salvini Roberto Poletti, ex direttore di Radio Padania. Capace, con sommo coraggio, di trascinare verso il basso una delle trasmissioni di punta di quella fascia oraria.
Per non parlare, poi, di quella Lorella Cuccarini che si era autocelebrata come “sovranista” e che, finita a La Vita in Diretta, è stata massacrata dalla concorrenza di Canale 5. La media dello share, 13,9%, è in calo di oltre un punto rispetto a dodici mesi fa. A guadagnarci sono state soprattutto Rete4 e La7, schizzate negli ascolti grazie ai talk. E così la grillina Beatrice Coletti si è trovata ad ammettere, in cda, che “la qualità dei programmi è scarsa”. Persino il leghista Igor De Blasio si è trovato concorde: “Dobbiamo rivedere diverse cose”. Meglio, allora, lasciar spazio al nuovo corso giallorosso. E farlo in fretta, al netto del rischio di dolorose epurazioni.
Draghi sfida la Germania: “Sostenga la crescita dei Paesi dell’Ue”