In occasione del centenario dell’ILO, l’Organizzazione internazionale del lavoro, che si celebrerà nel 2019, il Ministero del Lavoro ha avviato da tempo un grande programma di comunicazione, intitolato “il lavoro che cambia” per raccontare appunto i nuovi scenari dell’occupazione e del welfare. Lavoro e società, organizzazione del lavoro e della produzione, lavoro dignitoso per tutti, governance del lavoro: questi i grandi temi, le quattro parole chiave sui cui il Ministero del Lavoro italiano ha avviato la riflessione, organizzando decine di eventi a partire dallo scorso anno e producendo svariati documenti, tutti pubblicati su un sito web appositamente creato e intitolato appunto “Il lavoro che cambia”.
Il progetto
Il progetto “Il lavoro che cambia” ha lo scopo di tracciare un quadro dei mutamenti in corso nell’universo lavoro “con una particolare attenzione – scrive il Ministero – all’impatto che le trasformazioni tecnologiche stanno avendo e potranno avere sul lavoro”. Lo scopo è molto preciso e affatto teorico: cogliere le opportunità offerte da Industria 4.0 e, al contempo, garantire la sostenibilità sociale di forti trasformazioni, in un contesto internazionale politico e sociale in profondo mutamento per tutti gli aspetti del rapporto tra lavoratori e imprenditori. Il progetto è stato creato anche per stabilire un calendario di attività concrete: l’obiettivo dei tecnici del Ministero del lavoro è rispondere da subito alle esigenze dei cambiamenti in atto, aiutare a crescere il sistema imprenditoriale italiano e migliorare le condizioni lavorative, economiche, sociali e culturali delle persone e della comunità che abitiamo.
Come cambia il lavoro nell’Industria 4.0
Il documento di presentazione del progetto a cura del Ministero del Lavoro contiene un’ampia disamina di come sta mutando lo scenario del lavoro in Italia. Uno scenario in cui l’avanzata della tecnologia può anche significare meno occupazione in alcuni settori. L’Industria 4.0, secondo i tecnici del Ministero, inciderà significativamente su tutti i comparti produttivi della manifattura e dei servizi. Nel campo della manifattura, asset fondamentale per l’attività produttiva del nostro paese, l’Advanced Manufacturing e l’Internet of Things porteranno verso l’ottimizzazione dei processi e la produzione justin-time, con la disponibilità di stampanti 3D e di robot capaci di svolgere mansioni operativamente complesse e di apprendere dalle proprie stesse operazioni, raffinando le capacità realizzative. Questo nel tempo ridurrà il fabbisogno di persone nei processi produttivi.
Il settore dei servizi e l’economia delle “piattaforme”
Nel settore dei servizi, invece, i Big Data e gli avanzamenti nella robotica hanno già permesso oggi la sostituzione di mansioni umane ad alto tasso di complessità. Robot equipaggiati di algoritmi capaci di sostituire figure esecutive e di “macchina” quali operatori telefonici, assistenza post-vendita e redattori di articoli. “La grande disponibilità di dati e la relativa semplicità nel loro utilizzo aprono importantissime opportunità. Tuttavia ancora oggi in Italia molte aziende non hanno accesso all’utilizzo dei Big Data”, è spiegato nel documento del Ministero, ribadendo, se fosse ancora necessario farlo, del grande investimento in skills tecnologiche necessario al nostro paese. Diversamente costretto a trovare i lavoratori con le necessarie abilità fuori dai confini nazionali.
Il cambiamento tecnologico, quindi, non è neutrale negli effetti che può avere sui rapporti sociali, culturali ed economici. “Solo riconoscendo il suo ruolo attivo nel cambiamento dei rapporti sociali sarà possibile sfruttare le potenzialità tecniche delle innovazioni, minimizzando il rischio di disoccupazione, di riduzione dei salari”, scrive il Ministero, e di frammentazione del lavoro stesso diciamo noi. Se pensiamo alla nuova economia delle piattaforme, che ha messo in diretta relazione prestatori di servizi e clienti e determinato di conseguenza la deterritorializzazione di molte relazioni economiche, è evidente come vadano ripensate anche le politiche del lavoro in una condizione in cui la “residenza fisica” del lavoratore è sempre meno importante rispetto invece alla sua disponibilità nel tempo.