I precedenti penali di un “famigliare stretto” sarebbero l’ostacolo al momento insormontabile per la cittadinanza italiana a Ramy, il 13enne “eroe” della vicenda di San Donato Milanese. Un riconoscimento che, questa la valutazione in corso nelle ultime ore, potrebbe a questo punto essere fatto per il ragazzo senza però estenderlo ai parenti prossimi. Una notizia data dallo stesso Matteo Salvini, che aveva usato frasi come “è chiaro che i figli non rispondono dei problemi altrui, però…”.
Frasi che hanno fatto infuriare la famiglia del ragazzo, che ha deciso di rispondere alle accuse del leader della Lega. Alcune testate avevano avanzato l’ipotesi che potesse essere il padre di Rami, Khaled Shehata, ad avere guai con la legge. Il diretto interessato è così intervenuto, spiegando: “È colpa dei giornalisti che mi hanno intervistato. Loro hanno insistito affinché chiedessi la cittadinanza per Rami, suo fratello e mia moglie. Se i giornalisti non me l’avessero più volte ripetuto, io non l’avrei chiesta e tutto sarebbe finito così”.
Sulle parole di Salvini, Khaled ha specificato: “Io non lo so. Io e la mia famiglia siamo tutti puliti, non c’è nessun precedente penale. Io non lo so perché ha detto così, non lo so proprio. Nella mia famiglia siamo tutti a posto. abbiamo un permesso di soggiorno dal 2003. Sono 16 anni che abbiamo il permesso di soggiorno. Siamo tutti puliti. Non ce ne sono precedenti penali”.
“Vorrei sapere perché dice così – ha concluso, sempre riferendosi a Salvini – di quali precedenti penali parla se invece non esiste nulla. Io non ho mai avuto problemi, mai fatto casino, ho sempre lavorato. Io vorrei che fosse chiaro che se lui vuole dare la cittadinanza, molto volentieri. Se non vuole darla, non c’è problema. Non mi cambia niente. Per me l’importante è vivere tranquillo”.