Il petrolio, nonostante la forte crescita delle fonti di energia rinnovabili degli ultimi anni, sembra destinato a consolidare le sue posizioni, almeno nel prossimo futuro. E’ Morgan Stanley ad affermare che la domanda di greggio crescerà a ritmi addirittura maggiori rispetto alle tendenze sin qui mostrate.
Una notizia che sicuramente non piacerà agli ambientalisti e a tutti coloro che vorrebbero poter consegnare ai propri figli un pianeta più pulito, che però sembra fondato su una analisi della situazione abbastanza veritiera.
I motivi che spingono il petrolio
A rendere del tutto plausibile lo scenario indicato dalla banca d’affari statunitense sono in particolare due fattori: il primo è rappresentato dai tempi lunghi comportati dalla transizione verso le rinnovabili, il secondo dai prezzi sempre più bassi del petrolio.
Per quanto concerne la transizione, Morgan Stanley pone l’accento sul fatto che attualmente eolico e solare vadano ad impattare per un 2% circa sulla produzione complessiva di energia. Il carbone, per passare appunto dal 2 al 10% del mix energetico, ha impiegato quasi mezzo secolo, a fronte dei 26 e 33 anni rispettivamente di gas e petrolio. Insomma ci vorranno decenni prima che le fonti rinnovabili, ovvero eolico e fotovoltaico, arrivino ad un livello apprezzabile, a meno di mutamenti sostanziali nella politica energetica mondiale in un arco di tempo abbastanza ristretto.
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La crescita del petrolio spinta da PIL e aumento della popolazione
Per quanto concerne invece la crescita della domanda di petrolio, oltre ai prezzi bassi, che dovrebbero rimanere tali ancora a lungo, essa sarà sospinta da due fattori ben precisi: l’aumento del Prodotto Interno Lordo e della popolazione a livello globale.
La base per queste previsioni è fornito da un report della Banca Mondiale, secondo il quale la popolazione terrestre dovrebbe passare dagli attuali 7,4 a 9,2 miliardi di individui entro il 2040, con un incremento pari ad un quarto. E’ invece l’OCSE a preconizzare come nello stesso periodo preso in considerazione il PIL pro capite dovrebbe aumentare nell’ordine del 70%, passando da 10.500 a 17mila dollari all’anno.
Va poi considerata la dinamica che spinge i Paesi emergenti verso lo sviluppo definitivo: il passaggio da una categoria all’altra comporterebbe in pratica un raddoppio secco della domanda di greggio. Se le economie mature sono destinate ad una contrazione in tal senso, la spinta dei Paesi emergenti si concretizzerà comunque in un netto aumento della richiesta, che compenserà nettamente il primo processo.
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Chi guadagna e chi no
Va però sottolineato come l’aumento della domanda di petrolio e il permanere di prezzi bassi non avrà riflessi analoghi su tutti gli attori del comparto. Sempre secondo Morgan Stanley, infatti, a guadagnare saranno in particolare le aziende operanti nella raffinazione e distribuzione della materia prima (ad esempio BP e Shell), che acquistando a prezzi bassi e avendo molti clienti, possono ulteriormente lucrare sulla rivendita.
Le compagnie che invece ricercano, estraggono e producono il petrolio, sono destinate a vedere erosi i propri guadagni dalla necessità di ingenti investimenti. Una situazione che riguarda anche la nostra ENI, che infatti si è vista abbassare il rating proprio in considerazione del permanere di una situazione tutt’altro che favorevole.
Resta naturalmente da capire se l’attuale situazione è destinata a perdurare, considerate le crisi geopolitiche che continuano a caratterizzare alcune parti del mondo ove sono presenti ingenti riserve di petrolio, a partire da Venezuela e Medio Oriente.