Un divorzio doloroso ma sempre più inevitabile, quello che si sta consumando lentamente all’interno del Movimento Cinque Stelle. Da un lato Luigi Di Maio, leader di un partito alla ricerca di una seconda vita dopo gli insuccessi elettorali pre-pandemia e una lieve risalita nei sondaggi spinta soprattutto dalla vicinanza alla figura del premier Conte. Dall’altra Davide Casaleggio, figlio del fondatore Gianroberto, sempre più un corpo estraneo e lontano dall’idea che i principali protagonisti della vita pentastellata hanno del futuro.
A conferma delle voci che circolano ormai da tempo, La Stampa ha rivelato di un piano elaborato da Di Maio, Crimi e pochi altri fedelissimi e che avrebbe come punto di sbocco gli Stati Generali fissati per l’autunno, dopo l’Election day di fine settembre e i conseguenti ballottaggi dei comuni. Un meeting che potrebbe svolgersi a Torino, come era originariamente previsto, e durante il quale il ministro degli Esteri punterebbe a porre le basi per la trasformazione del M5S in un partito vero e proprio. Segreteria, incarichi stipendiati, tesoriere, finanziamenti trasparenti. Il tutto, però, passando inevitabilmente dalla fine del controllo di Casaleggio sulle piattaforme grilline.
La società di Casaleggio rimarrebbe legata da un contratto di fornitura, con tanto di fatture per il servizio offerto. Davide perderebbe però, di fatto, il controllo sul Movimento Cinque Stelle, finora garantitogli da uno statuto che vincola i grillini all’Associazione Rousseau di cui lui è guida. Lo schema attuale è quello che vede Casaleggio e Di Maio come soci fondatori dell’Associazione M5S, erede di quella fondata da Beppe Grillo. Titolare del dominio registrato è Davide tramite l’Associazione Rousseau, con sede in via Morone 6 a Milano. Ma la situazione potrebbe cambiare a breve.
Molti parlamentari sarebbero infatti ormai insofferenti verso la figura di Casaleggio, stanchi del suo utilizzo personalistico del blog e dover oltretutto di pagare 300 euro al mese alla Rousseau. Un’eventuale spallata permetterebbe di sovvertire lo schema: gli eletti darebbero un contributo direttamente al Movimento, che a quel punto gestirebbe autonomamente le finanze e i rapporti contrattuali con Casaleggio. Inoltre si aprirebbero le porte a una revisione totale delle regole fin qui in vigore, compreso il discusso limite dei due mandati che da qui a 3 anni taglierebbe fuori molti big dalla vita politica. Detronizzare Casaleggio sarebbe dunque il primo passo per un futuro diverso, che a Di Maio sembra piacere parecchio. Con la consapevolezza, però, che l’impresa non è certo facile e che un’eventuale guerra interna al Movimento avrebbe un esito tutt’altro che scontato.
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