La svolta leghista in Veneto è arrivata. Ma forse non rispecchia perfettamente le aspettative dei cittadini che si sono affidati al Carroccio al momento del voto. Prima è stata la volta della discussa abolizione del limite dei due mandati consecutivi, poi ecco arrivare un provvedimento che aggiunge altre dieci poltrone in consiglio regionale: da 51 a 61, come ai tempi di Giancarlo Galan e della sua gestione. Una scelta voluta dal governatore Luca Zaia e che di fatti mira a rafforzare proprio la sua leadership.
L’assemblea di Palazzo Ferro-Fini, votando a maggioranza, ha infatti modificato lo Statuto della Regione stabilendo che qualora gli eletti diventino assessori (la giunta ne conta 10) si dimettano dal consiglio, cedendo la poltrona ai primi tra i non eletti. Una nuova regola che permetterà di ripescare nel bacino degli esclusi, rinvigorendo così la schiera dei fedelissimi del governatore leghista. “Dieci nuovi stipendi da 8.500 euro al mese, per un costo aggiuntivo totale di 7 milioni di euro” come paventato dal grillino Jacopo Berti.
Anche dal Pd sono subito arrivate accuse pesanti alla riforma voluta da Zaia. Piero Ruzzante, Cristina Guarda e Patrizia Bartelle starebbero addirittura pensando a un referendum abrogativo della norma: “La Lega cambia le regole riportando a 61 le poltrone. Si torna al 1995 con la novità, peggiorativa, che dieci di questi 61 non saranno eletti dal popolo ma nominati da una persona sola con un costo aggiuntivo di 7 milioni”.
La Lega, dal canto suo, si è difesa: “Questa riforma è stata concepita perché, abitualmente, gli incarichi di assessore impediscono di seguire i lavori consiliari in modo produttivo. Le polemiche a riguardo, quindi, non hanno ragione di esistere” è stata la linea di Luciano Sandonà.
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